I fatti di cronaca attirano sempre l’attenzione, soprattutto quando riguardano qualcosa di violento o mortale. Sarà perché l’essere umano è morbosamente attratto dall’oscurità. O perché in fondo temiamo la nostra dipartita e in qualche strano e catartico modo ci sentiamo sollevati nell’osservare quella altrui. Quale che sia il motivo, è qualcosa di intrinseco, misterioso e disturbante. “Disturbante” è anche l’aggettivo che usa Francesco Gheghi nel descrivere una delle clip di cui è protagonista, mostrata in anteprima assoluta al Giffoni Film Festival ed estrapolata dal suo prossimo progetto, ancora in via di lavorazione.
Si chiama 40 secondi, la nuova pellicola diretta da Vincenzo Alfieri, in uscita il 20 novembre 2025 per Eagle Pictures e ispirata alla tragica vicenda di Willy Monteiro Duarte.
Il fatto di cronaca
Nella notte tra il 5 e il 6 settembre 2020, a pochi passi da un pub in una delle piazzette più frequentate di Colleferro, scatta una rissa per via di una battuta di troppo. Arrivato a calmare le acque, Willy Monteiro, ventunenne di origine capoverdiana, finisce nel mezzo della lotta, venendo colpito al petto e alla gola. Impiegò circa 40 secondi a morire.

40 secondi: dal libro al film
La scintilla per narrare la storia arriva dal produttore Roberto Proia (reduce dal successo de Il ragazzo dai pantaloni rosa). Suo il desiderio di “parlare di un’altra storia esemplare, capace di raccontare qualcosa che i giovani vivono tutti i giorni”. Per Alfieri, invece, non è stato un colpo di fulmine. All’inizio il regista salernitano era titubante: “Sembrava una storia di cui tutti sapevano tanto. Se ne parlava anche in modo irrispettoso”. La decisione definitiva è arrivata dopo un po’ di tempo.
“Mi sono domandato – racconta il regista – perché fare questo film, poi ho capito che se Roberto Proia crede in qualcosa, bisogna seguirlo. Dopo aver letto il libro (40 secondi. Willy Monteiro Duarte. La luce del coraggio e il buio della violenza di Federica Angeli, edito da Baldini+Castoldi ndr.) e aver intervistato gli amici di Willy, ho capito che c’era tanto da raccontare”.
La volontà è stata da subito di non fare un film strappalacrime, né di cronca. Quanto piuttosto allegorico. “Anche io – prosegue – ho vissuto situazioni borderline in passato, che mi hanno fatto riflettere e cambiare punto di vista su quello che stavo facendo in quel momento della mia vita. Ho pensato a cosa vorrei vedere sullo schermo in un film che parla dei miei 20 anni. Non voglio insegnare niente a nessuno, ma spesso ci si sente immortali e non è così. Credo che ogni autore debba sollevare delle domande e che i genitori dovrebbero chiedersi cosa consigliare ai propri figli. Siamo in un momento storico in cui non si ha rispetto per niente”.
Un film dalla struttura originale
Organizzato in capitoli, come il libro, il film dedica sé stesso – e le sue parti – a tutte le persone implicate nell’omicidio Monteiro. Vale a dire che “parla di tutte le persone dietro la morte di Willy”.
Ciò che era fondamentale, ed era ben chiaro a tutti sin dal principio, era il rispetto che la storia e le persone coinvolte meritavano. “Il rispetto è intrinseco a chi si approccia a un’opera – spiega Alfieri – mai mi sognerei di descrivere quello che non è. Willy era una persona normale, non un supereroe. Non ha fatto un gesto eroico, ma uno umano. Si è messo in mezzo per sedare una rissa in cui era coinvolto anche un suo amico”.

L’importanza dei volti giusti
Tra le maggiori difficoltà riscontrate dal regista, la scelta di coloro che avrebbero dovuto portare sullo schermo vicende e personaggi così vicini nel tempo da essere ancora nella nostra memoria. E nei nostri telegiornali. Dopo sei mesi di street casting alla ricerca dei volti giusti, la scelta migliore l’ha fatta il fato: il protagonista è stato scoperto in una discoteca.
“La scelta degli attori era fondamentale, per arrivare a rendere credibile la storia attraverso il loro sguardo. Non è stato facile trovare il nostro Willy” racconta Alfieri. “Tutti ricordiamo il suo sorriso, la sua dolcezza, ma anche la riservatezza che ci hanno narrato. Abbiamo cercato all’interno della comunità capoverdiana e dopo 8/9 provini” è arrivata la scelta definitiva. Accanto a un giovane esordiente, regista e produttore avevano necessità di un cast professionista.
E soprattutto di un cast capace di supportare ” la verità, traghettarla e creare empatia. Per esempio, quando ho conosciuto i genitori di Francesco Gheghi, ho capito perché sia una persona così splendida. È estremamente empatico. E anche quando non interpreta un buono, restituisce molta umanità. La stessa umanità che porta Justin De Vivo, da non attore quale è, a restituire rispetto alla vittima. Ed è bellissimo quando vedi gli attori che si divertono, si commuovono, vivono insieme e vengono sul set anche quando non devono girare loro”.
Gheghi, nei panni di un assassino
Francesco Gheghi, di recente sullo schermo al fianco di Alessandro Gassmann in “Mani Nude”, in questa pellicola interpreta uno dei fratelli Bianchi. Palesemente scosso e commosso dopo essersi visto per la prima volta sullo schermo in questo ruolo, non riesce a esprimersi a parole. “Non ho la mente fresca, lucida, per poter parlare di quello che penso o vedo. Per me esistono alcune persone nel mondo, che vengono scelte per rappresentare il dolore di tante storie che non vengono rappresentate. Dietro una morte c’era una persona, un modo di vivere, di fare, dei sorrisi”.
“Sto dando tutto (va ricordato che la pellicola è ancora in corso d’opera, ndr) per cercare di rappresentare delle persone, senza cadere nella retorica della violenza”. Grazie al cinema, ai libri, alle possibilità, “possiamo cercare di rendere la società migliore e tendere la mano. Ecco, questa è la componente più bella del film. Persone come Vincenzo mettono a disposizione il loro cuore, cercano la verità fino in fondo. E mostrano rispetto verso chi ha perso la vita per educare noi”.

Mani Nude: pugni e disumanità nel thriller con Alessandro Gassmann
Un viaggio nell’ombra dove i bravi ragazzi diventano bestie da combattimento. Al fianco di Gassmann c’è Francesco Gheghi. di Valentina Ariete
Il cinema contro l’indifferenza
“Purtroppo questa è una storia molto moderna e potrebbe risultare attuale anche in futuro – aggiunge il regista -. Queste cose capitano costantemente perché figlie di un maschilismo tossico. Oggi le persone sono concentrate su se stesse e non sulla collettività, c’è poco ascolto, poca comprensione. La banalità del male è un tema immortale. In qualche modo ne siamo tutti spettatori, come lo erano le persone coinvolte nella tragedia di Willy. Il film parla di inevitabilità”.
“Ma cosa può fare – si chiede Proia – il cinema in questi casi? Cosa possiamo fare noi per onorare e rispettare, e per far sì che ci siano sempre meno Willy? Dobbiamo fare sì che ci sia un minimo di consapevolezza in più, perché il vero assassino è l’indifferenza. Oggi c’è una fortissima mancanza di empatia”. Morto un Papa, in poche parole, o risolto il caso di cronaca nera, ” passiamo al prossimo caso. Ma esiste anche una società buona, ed è a loro che questo cinema vuole parlare”.
Il protagonista inedito
L’ultimo a prendere il microfono è proprio il più giovane. Protagonista attesissimo al suo esordio sul grande schermo, De Vivo ha iniziato questa avventura con qualche perplessità: “all’inizio non ero propenso ad accettare, poi Vincenzo mi ha fatto ragionare sull’importanza del progetto. Grazie a lui e a Roberto oggi sono contento di essere qui. C’è una grande parte emotiva in questo film, ed è stato difficile anche perché io sono molto chiuso. Credo e spero di essere riuscito a rappresentare Willy al meglio, non lo conoscevo ma faceva parte della mia comunità e la sua storia ha toccato tutti noi giovani. Mi ha lasciato una parte di lui”.
Inserisci commento