In un Nuovo Mondo che ha accorciato le distanze tra luoghi e persone, dove i social sono diventati strumento di scambio e opportunità di voce per chiunque, dando vita alla popolarizzazione – ma anche polarizzazione – di ogni tema e sentimento, anche la cucina è entrata di diritto a far parte della giostra socio-culturale contemporanea.
Il tema culinario si è massificato spingendo il sogno di fare lo chef alla portata di tutti, e consegnando le chiavi artistiche di un piatto stellato – o di critico esperto – a una qualsiasi puntata di MasterChef, format oramai di culto. Nel frattempo, anche cinema e tv hanno iniziato ad attingere a più non posso al mondo della cucina. Tanto come luogo fisico quanto come luogo dell’anima dove convergono gioco-forza passioni, desideri, frustrazioni, e condizioni umane di ogni tipo. Perché ogni cucina è in fondo sempre costruita su una delicata piramide di esistenze. Le stesse che cercano di coesistere e collaborare “dietro le quinte” pur di avere successo sul loro personale palco, ovvero il piatto finale.
Un ambiente complesso e sfaccettato che spesso trascende anche gusto e sapori. Che rispecchia da vicino la complessità dell’esistenza, con i suoi tanti riscontri, mix inscindibile di successi e altrettante delusioni. Non è quindi una sorpresa che la gastronomia trasferita su schermo – grande o piccolo che sia – abbia facilmente conquistato lo spettatore con la sua avvolgente ventata di umori. Perché l’umanità variopinta e non di rado controversa – di chef, sous chef, lavapiatti, ma anche avventori e critici – celata dietro a ogni singolo piatto parla di vita vera. E di tutte quelle dinamiche esistenziali che contraddistinguono ogni bolla umana che si rispetti.
Sì Chef! Quando al cinema – e non solo – arriva la cucina
Là dove prima la cucina nei film era intesa semplicemente come background a storie con un loro centro, magari sentimentale, ben definito – Chocolat, 2000 -, a partire dal nuovo decennio l’importanza del tema culinario si è centralizzata e rinvigorita.

Nel 2007, il film d’animazione Ratatouille mette in evidenza il mondo della cucina attraverso il roditore Remy, un genio culinario che guida il suo compagno umano nella scoperta dei segreti gastronomici. Il film esplora il genere dei “Kitchen movie”. Caratterizzando un ambiente creativo, competitivo e vincente. Evidenziando sia i colori e i sapori della cucina che le sfide legate alla brigata e alla sua struttura gerarchica. Il tutto con un tono leggero e scanzonato.
La temperatura sale e la popolarità anche
Negli anni successivi, il tema cucina al cinema e nella serialità è andato letteralmente spopolando. I titoli di riferimento sono letteralmente esplosi – Sapori e Dissapori 2007, Julie & Julia 2009, Soul Kitchen 2009, Chef La Ricetta Perfetta 2014, Il Sapore del Successo 2015 -. Questa popolarità ha fatto convergere, con sempre maggiore incisività, i diversi generi cinematografici nei locali frenetici e competitivi di brigate e linee pronte al servizio.
Ma negli ultimi tempi si è sperimentata una vera e propria svolta in quello che sembra ormai rappresentare un genere a sé stante. The Menu di Mark Mylod (2022) trascina, ad esempio, la competizione a suon di portate in un horror vendicativo animato dalla sete di riscatto sociale. Il francese Sì Chef – La Brigade – sempre 2022 – abbraccia invece atmosfere e idee tipiche del cinema d’oltralpe. Con messaggi sociali e di attualità pregnanti. Su registri totalmente diversi, il recente Nonnas (2025) riunisce un gruppo di nonne rigorosamente italiane al fine di riportare a tavola identità e tradizioni culinarie del passato. Una commedia famigliare agrodolce, divertente e delicata.

Il caso The Bear
Eppure, il successo travolgente di The Bear (giunto oramai alle porte della quarta, attesissima stagione) ha lanciato definitivamente il mondo della ristorazione nel firmamento televisivo. La storia del giovane e tormentato Carmy, ossessionato dalla morte del fratello e dalla volontà di rilanciarne il sogno in quel di Chicago, ha letteralmente sbancato, tanto in termini di critica quanto in termini di popolarità.
Perché la serie ideata e diretta da Christopher Storer ha avuto la lucidità, nonché capacità, di trasferire le criticità disfunzionali ma molto umane di un protagonista, eccezionale eppur comune nel suo sentirsi inadeguato. Negli spazi di una cucina, la voce umana è quella autoriale – il picco di sofisticatezza si registra nella puntata natalizia “Fishes” della seconda stagione -. La sfida, della serie quanto del protagonista, è quella di rilanciare un prodotto popolare. Una paninoteca di quartiere, in un ricercato e competitivo locale affiliato al mondo dell’alta cucina. Ma, a dispetto della qualità e del livello introspettivo della serie, il mood resta decisamente “amicale”. Il successo del prodotto è tutto nella sua capacità di catturare l’empatia più viscerale dello spettatore.

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Aragoste a Manhattan, finalmente al cinema!
E nella scia di prodotti legati alla cucina e ai suoi delicati equilibri, con un approccio sempre più autoriale e sofisticato, arriva adesso al cinema – 5 giugno, distribuito da Teodora Film – anche Aragoste a Manhattan – titolo originale la Cocina – del regista messicano Alonso Ruizpalacios. Già presentato in anteprima alla 74esima Berlinale, e adattamento della celebre pièce teatrale del 1957 The Kitchen di Arnold Wesker, Aragoste a Manhattan alza ulteriormente l’asticella del vincente connubio tra cinema e cucina.
Tono surrealista riflesso in un bianco e nero magico che rende il tempo e lo spazio della narrazione universali. Il film messicano trascina lo spettatore in un limbo senza tempo. Potrebbe essere ieri, oggi, sempre. Così come la New York de-saturata che è il cuore della scena potrebbe essere ogni altro luogo.

E quel che accade nei convulsi sotterranei di un mediocre ristorante attira-turisti della vibrante Times Square ci raggiunge e ci scuote, anche emotivamente, coinvolgendo ogni senso. Suoni, rumori, angosce e ambizioni che affollano i locali del “The Grill” ricordano per adrenalina e malinconia da vicino quelli del “The Bear”. Ma qui troviamo una vena decisamente più dark, esplosiva, politicamente rivoluzionaria.
Vite spese in cucina tra piatti da preparare, servire e lavare
Ruizpalacios firma una narrazione suggestiva con alcune scene davvero memorabili. Le aragoste che planano lentamente all’interno dell’acquario danno vita a una poetica coreografia acquatica. Il racconto sospeso del napoletano emigrato alla ricerca – vana – del suo american dream. Una parabola in cui tutta la magia di un ambiente ostile ma pieno di vita è esplosa nella relazione passionale, sofferta e turbolenta che anima le vite dei due splendidi protagonisti Pedro e Julia – due straordinari Raùl Briones e Rooney Mara -. Nel loro rapporto profondo e affannoso c’è la sofferenza di chi deve farcela giorno dopo giorno. Immigrati in cerca di un sogno o stanziali che quel sogno faticano perfino a vederlo -, e non può permettersi il lusso della libertà di scelta/e.

Eat the Rich: l’ossessione del cinema per la ricchezza infelice
Da Triangle of Sadness a The White Lotus, cinema e televisione ci mostrano senza filtri cosa c’è oltre i privilegi dei ricchi. È nato un nuovo filone narrativo? di E. Pedoto
Ancora una volta, dai margini di vite spese convulsamente in piatti da preparare, servire e lavare, si affaccia il respiro della vita che c’è, e potrebbe esserci, se solo fosse concesso risalire la corrente. Inopinabile. Proprio come l’idea dell’American Dream, che si va sgretolando nelle tante fotografie di esistenze precarie e sempre troppo sfumate. Soggiogate dalla frenesia dell’oggi, dalla gerarchia, dal capitalismo, dal potere che nutre (sempre) sé stesso. Una débâcle umana e concettuale riassunta nell’aneddoto dell’aragosta passata da cibo per poveri a status symbol elitario. In quella luce verde, istinto e proiezione, sogno e delusione, nell’evidente rimando a Il Grande Gatsby, che in un attimo può (ri)accendere o demolire tutto.
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