Ieri, in un Duomo che profuma insieme d’incenso e di umidità antica, si è tenuta ancora una volta la cerimonia della liquefazione del sangue. Non è un esperimento chimico, anche se la tensione collettiva ricorda certi laboratori mal ventilati del liceo. È il miracolo di San Gennaro, seconda edizione annuale, quella di maggio, quando il sangue conservato nell’ampolla dovrebbe, se le cose vanno bene, diventare liquido. Se resta solido, Napoli trattiene il fiato.
Si è sciolto, ma quest’anno, il contesto era lievemente più apocalittico del solito. Il Papa è morto. Di nuovo, direte voi – ma è successo davvero, pochi giorni fa, ed è bastato perché il miracolo assumesse un tono più interrogativo che devoto. Un “vediamo se succede” pronunciato col mento incassato nella sciarpa, come chi entra in banca per chiedere un mutuo in lire.
Il sangue non si scioglie: precedenti catastrofici
Gli storici del catastrofismo liturgico ricordano che quando il sangue non si è sciolto, in passato, qualcosa di brutto è puntualmente accaduto. 1939 e 1940: la guerra. 1973: il colera. 1980: il terremoto. Una coincidenza? Certo. Ma anche no. Le coincidenze, a Napoli, hanno un metabolismo più lento: sedimentano, si fanno rito, poi folklore, poi ansia collettiva.
Il rapporto tra il miracolo e i Papi, poi, è sempre stato ambiguo. Alcuni sono venuti, il sangue non si è sciolto. Altri sono rimasti a Roma e il sangue sì. Una volta sola, in un’occasione di particolare euforia liturgica, il sangue si è sciolto a metà. In quel gesto incompleto c’era tutta la grammatica della fede contemporanea: speranza, ma con riserva.
Miracolo o oracolo?
Ora, con il Pontefice appena scomparso e la bara ancora calda di riflettori vaticani, la liquefazione si trasforma in oracolo. Il pubblico – devoti, scettici, giornalisti, passanti – attenderà il verdetto dell’ampolla come si attende la sentenza di un concorso a cattedra. Tutti con lo sguardo fisso su una reliquia chiusa in vetro, come se lì dentro ci fosse l’indice MIB o il destino dell’umanità.

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Nel frattempo, i venditori ambulanti preparano i loro fazzoletti rossi, la Curia intona i suoi canti, e qualcuno – magari un ragazzino costretto a venire per mano alla nonna – guarderà tutto con lo stupore silenzioso di chi intuisce, senza capire, che il sacro e il quotidiano, a Napoli, hanno fatto un patto segreto: uno si finge l’altro, e viceversa, per non farci impazzire del tutto.
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