Roma-Milano-Roma. Il treno parte alle 7:10 da Termini. Posto finestrino e una bottiglietta d’acqua tiepida, ma la testa è già lì, a Milano. Non al Duomo, non ai Navigli, ma in Via Nino Bixio, dove attende un pranzo che è più una confessione gastronomica che un appuntamento d’affari. Si chiama Dim Sum e per me è un luogo sacro.
Dim Sum: un santuario gastronomico a Milano
Il nome è semplice, quasi generico, ma varcata la soglia si entra in un altro mondo. Le luci blu smorzano il brusio del traffico milanese. La cucina è a vista, teatro silenzioso di mani sapienti che chiudono ravioli con movimenti piccoli e precisi, come se stessero ricamando.
Ci si può distrarre in chiacchiere con gli altri commensali, ma il pensiero resta fisso: Xiao Long Bao che stanno per arrivare. Esplodono suadenti in bocca il loro brodo caldo. Poi gli Shao Mai, colmi di carne e trito aromatico, come piccoli monumenti alla pazienza, in attesa del manzo in latte di cocco e curry. Il gusto è intenso, sapido e piccante, come la colonna sonora di “In the Mood for Love” che senti una volta e poi non dimentichi più. Non aspettiamoci prezzi da ristorante cinese all you can eat: qui senza vino si può facilmente spendere dai 40 ai 60 euro. Ma li vale tutti, anzi, vale il viaggio.

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Milano è ancora lì, in piedi e frenetica come sempre, un po’ troppo piena di sé, come sempre. Con addosso il tepore del tè al gelsomino e la consapevolezza di aver mangiato cinese meglio che a Shanghai, si riparte, itinerario al contrario, direzione Roma, all’arrivo sarà già sera.
George Lobster: un’oasi di aragosta nel cuore di Roma
Il viaggio è stancante, ma l’appetito comunque suona la carica, ci vuole qualcosa che sia all’altezza ma più terreno, e la stazione Termini di Roma può riservare gustose sorprese. E infatti, come una visione traslucida in mezzo alla folla: George Lobster, il temporary store dedicato all’aragosta americana piantato nel cuore romano come un’astronave di vetro.

Nessun tavolo, solo un bancone. Pronti per addentare il Lobster Roll Connecticut più famoso di Roma: aragosta calda con burro al limone, servita in un panino che sa di burro tostato e nostalgia. La carne è soda, dolce, marina. L’appetito non dichiara ancora la resa – Ambrogio la mia non è proprio fame è più voglia di qualcosa di buono cit.-, e si allea con la curiosità stuzzicata dal Cheesy Lobster Toast: una variazione con cheddar fuso. Puro comfort food da East Coast.
Un Peanut Butter Bun che ricorda l’infanzia americana
Avanti Savoia – e quando si tratta di avidità con Savoia si chiude il cerchio – via con gli Sweet Fries, dolci, croccanti, un contrappunto necessario. E poi un Peanut Butter Bun che ci ricorda immediatamente quanto l’infanzia americana sappia ancora sedurre. Totale, poco più di 35 euro. Tutto da asporto, non è previsto il consumo in loco – ci sono pochi sgabelli, ma sempre impegnati -, da consumare su un muretto, seduti alla buona in Piazza dei Cinquecento, tra valigie dimenticate, venditori ambulanti che ascoltano Laura Pausini dal telefono e un leggero effluvio di urina. Nessuna sedia, nessuna tovaglia, ma il pasto è memorabile.

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Fine del viaggio Roma-Milano-Roma, da Oriente al Maine, e con le dita ancora unte e la sensazione di aver vissuto una giornata intera in solo due atti: uno al vapore, uno fritto nel burro. Una giornata andata e ritorno.
Una liturgia privata tra un raviolo che si scioglie in bocca e un panino d’aragosta che sa di oceano e transito. E forse, mangiare è proprio questo: il modo più preciso e indolore che abbiamo per attraversare noi stessi e una piccola fetta di Mondo: al burro.
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