“I ricchi di città vivono in case stupende, ma l’aria è così inquinata che non vedono nemmeno le stelle.” (Woody Harrelson/Rex Walls – The Glass Castle). Così esordiva il personaggio di Woody Harrelson in The Glass Castle del 2017, ritratto autobiografico e memoria drammatica di una famiglia disfunzionale e nomade attraverso gli occhi della figlia Jeannette Walls.
Da Triangle of Sadness a The White Lotus: l’epopea dei ricchi
Lo stesso Woody Harrelson, forse non a caso, lo ritroviamo anche protagonista/capitano in The Triangle of Sadness, amara parabola e deraglio umano di una comitiva assortita di vecchi e nuovi ricchi costretti a convivere – insieme e disarmonicamente – a bordo di uno yacht di lusso. Narrazione pacifica fin quando il tema coatto della sopravvivenza non prenderà il sopravvento. Mandando, nei fatti, allo sbaraglio vizi e benefits di una varia compagine umana (influencer, armatori, trafficanti di armi e di letame) ostinatamente aggrappata alla scialuppa di salvataggio del proprio egoistico benessere. Prigioni di estrosa vanità.
Eppure, il successo rilevante tanto di Triangle of Sadness (vincitore della palma d’oro a Cannes 2022 e di due Golden Globe) quanto della serie oramai divenuta di culto The White Lotus (reduce dal successo della terza stagione mentre in cantiere c’è già la quarta, che uscirà probabilmente nel 2027) ci induce a riflettere sui meccanismi perversi e malati di questo nuovo mondo. Sulle disparità sociali che creano corto-circuiti che attraverso questo genere di opere si cerca in qualche modo di alleviare e sanare. O, più semplicemente, prodotti a uso e consumo di una classe media che si appassiona, e vive in qualche modo la propria catarsi, nell’osservare lo sgretolarsi dei super-privilegiati.
Di quei ricchi lontani cui ha sempre guardato con malcelata invidia. Una cinematografia che dunque esplora e smaschera i falsi miti della ricchezza, incluso quello della felicità.

Resort e yacht come simboli di ricchezza
Nella metafora di una ricchezza che va in qualche modo a fondo, se The White Lotus sceglie lo status symbol di strutture elitarie dedicate a una clientela super-lusso dislocate nei resort più esclusivi del globo (Hawaii, Sicilia e Tailandia sono le suggestive location delle prime tre fortunate stagioni), Triangle of Sadness rende ancora più emblematica l’idea di bolla dei privilegi che cola a picco scegliendo come location una crociera per pochi, pochissimi eletti. Isole felici che vengono poi metodicamente e sistematicamente contaminate da eventi catartici e verità dirompenti in grado di far naufragare ogni cosa, e persona.
La destrutturazione della felicità diventa filone narrativo?
E, dunque, pare proprio che questo nuovo filone di produzioni (seriali e cinematografiche contemporanee) che converge a ridicolizzare e destrutturare il mondo dei ricchi rappresenti un po’ la new wave di un nuovo interessante paradigma socio-culturale. La ricchezza vista come incarnazione del male. Di qualcosa da eradicare al fine di ristabilire un nuovo, e più sano, equilibrio. Le classi abbienti sono, è vero, state sempre prese in qualche modo di mira da grande e piccolo schermo, basti pensare al capolavoro surrealista firmato dallo spagnolo Bunuel nel 1972 (Il fascino discreto della borghesia) che tra satira e humor nero esacerbava tutti i vizi di una borghesia sempre più corrotta e misera.
Ma questa nuova ondata di cinema che risponde al grido di “Eat the rich” e al movimento anticapitalista, è perfettamente inquadrata nel contesto storico e sociale coevo. Per rispondere al malcontento generale verso un mondo squilibrato dove pochissimi detengono gran parte della ricchezza globale, gli autori di cinema e serialità hanno infatti colto il bad-mood diffuso. E offrono al loro pubblico di riferimento uno strumento di catarsi ed estemporanea guarigione, che passa attraverso la messa in scena di un capovolgimento concettuale e ideologico secondo cui “i primi saranno gli ultimi”.
Il senso della sconfitta – dei ricchi, mai felici – è servito

E, dunque, ecco che titoli come l’orrorifico Parasite, ma anche il generazionale Succession, il game-survival Squid Game o il gastronomico The Menu, si muovono tutti lungo il bordo vertiginoso di una lotta di classe. Narrazioni che in qualche modo favoriscono la scalata dal basso, che pongono ostacoli al vertice pur di concedere un ribaltamento sociale. E l’agognata sconfitta del privilegio. Un fil rouge concettuale che va a minare in primis quello che è il valore portante nel processo di ribaltamento ideologico, ovvero la tesi secondo cui la ricchezza sia direttamente proporzionale alle felicità.
In effetti in tutti i ritratti umani sopra citati la fauna che popola lo schermo è di fatto molto meno felice di quello che dovrebbe essere su carta. All’interno dell’illusorio idilliaco paradiso terrestre di The White Lotus, i protagonisti che si avvicendando lungo le varie stagioni si caricano addosso fardelli ingombranti. Portatori di solitudine e inquietudine, dipendenza da farmaci e droghe di vario genere, assuefazione al sesso e soprattutto al denaro, nascondendo poi, tra i tanti outfit dei loro armadi griffati, scheletri di ogni tipo.

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Insoddisfazioni multiformi e aspirazioni velleitarie oltre il limite del possibile che portano a commettere atti delittuosi e che, in fondo, lasciano un senso di emarginazione e infelicità davvero radicate. Il senso della sconfitta è servito, e l’apparente vuoto di questi mondi riportato al suo vero e illusorio (dis)valore.
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