Credibile come eroe ma anche come antieroe. Perfetto come cowboy, con cappello e sigaro, come fotografo ramingo (ne I Ponti di Madison County) e in grado perfino di dividere la scena con una scimmia (Filo da torcere, 1978). È diventato icona del cinema americano contemporaneo. Ha saputo diffondere il verbo di tante limpide o scomode verità. E ha realizzato capolavori che hanno segnato la storia della settima arte (Mystic River – 2003, Million Dollar Baby- 2004, Gran Torino – 2008, solo per citarne alcuni). Vincitore di ben cinque premi oscar è un regista eclettico, poliedrico, essenziale ma mai banale. All’attivo ha una filmografia lunghissima (più di 40 i titoli diretti) e pluri-celebrata in entrambi i ruoli. Clint Eastwood è artista a tutto tondo che ha saputo infondere in tutti i suoi film quel sano tocco di consapevole e lucida umiltà.
Ponti di Madison County: perla di un regista unico
Classe 1930, il 31 maggio scorso ha spento (ben) 95 candeline, mentre il suo I ponti di Madison County compie trent’anni – uscì in sala per la prima volta negli Stati Uniti il 2 giugno del 1995 mentre qui da noi nell’autunno di quello stesso anno.
Arrivato sull’onda di una carriera già ben avviata, è stato il film che ha segnato un’insolita svolta di genere. E ha ampliato l’orizzonte di Eastwood anche alla sfera del sentimentale. Perché se prima Eastwood era associato perlopiù a un’immagine ruvida (protagonista cowboy di film polverosi come la celebre Trilogia del dollaro di Sergio Leone o nei panni dell’indimenticato Ispettore Callaghan nella serie d’azione Dirty Harry), ne I ponti di Madison County – basato sull’omonimo romanzo di Robert James Waller- il (già) sessantacinquenne Eastwood dismette le armi e l’aria da duro per sfoderare un fascino ammaliante e senza tempo. E regala al suo fotografo nomade quel tocco di armonica galanteria in grado di lasciare davvero il segno. Umanità e sensibilità.

Buon compleanno Clint: 95 anni di verità in pellicola
Dai western muti ai drammi dell’anima, fino ai film romantici come I Ponti di Madison County, Clint Eastwood ha attraversato il cinema in silenzio e dignità. A 95 anni, è ancora una lezione di verità. di Terry Nesti
Da cowboy a ramingo
Gentiluomo d’altri tempi, e altri modi, che raccoglie fiori per esprimere “apprezzamento” e s’interessa dei sogni (trascorsi e infranti) della sua bella. Ne I ponti di Madison County Eastwood abbraccia l’essenza dell’uomo ramingo, e fragile, padrone di una libertà di cui si è nel tempo convinto. Catturando con sguardo intenso e partecipe ogni istante dell’opera, l’attore e regista cristallizza la breve ma intensa storia d’amore con Francesca. Una donna dedita alla famiglia ma invaghita di una libertà che non ha più, e che forse non ha mai nemmeno avuto. Una passione vissuta al massimo e poi lasciata sospesa ai posteri, alla testimonianza dei luoghi. E alla memoria di una medaglietta con su inciso un nome.

Ponti di Madison County: Quattro giorni di un’eternità
La storia dell’italiana Francesca (barese), interpretata da una intensa Meryl Streep (che per questo ruolo fu candidata all’Oscar come migliore attrice protagonista) trasferitasi nell’Iowa con sogni da realizzare poi rimasti inesauditi. Divenuta casalinga e madre a tempo pieno suo malgrado, svolge lentamente il filo del racconto per poi incendiarsi nell’incontro con il fascinoso fotografo del National Geographic Robert Kincaid (Clint Eastwood). Lui giunto nella “terrosa” contea per realizzare un articolo sul famoso ponte coperto Roseman.
La passione tra i due, lui rassicurante e gentile, lei solare ed esuberante, rappresenta un attimo lungo quattro giorni. Un frammento di eternità, in cui i sogni inappagati di entrambi per un frangente si cristallizzano e si avverano. Sciogliendo, in un colpo solo, la solitudine di Robert e la latente insoddisfazione di Francesca. Due cuori incisi lungo lo skyline del Roseman Bridge. Ponte che, di fatto, incarna il terzo protagonista della storia, location galeotta e motore artefice del fatidico incontro.

L’ispirato Clint
È risaputo, Sergio Leone diceva di lui: “ha solo due espressioni: con il cappello e senza”, alludendo a quella sua aria algida e impassibile. Eppure, anche sole poche scene di questo toccante e travolgente film (girato in soli 42 giorni, 10 in meno del previsto) in cui va in scena un amore vivo e crepuscolare, raccontano ben altro. Raccontano di un regista e attore di grande talento e ispirazione. Qui sia Clint Eastwood sia Meryl Streep (ai tempi si vociferava di una loro probabile liason anche fuori dal set) regalano mille estatiche flessioni emotive ed espressive.
La tensione erotica e passionale, lo stallo etico tra il volersi concedere e il timore di farlo, nel lasso di eternità che resta sospeso in analogia al ponte. E infine anche lo struggente addio offuscato dal dolore e dalla pioggia fitta. Ogni momento di quest’opera è un catalizzatore di emozioni, un concentrato di puro sentimento ante litteram. E poi c’è Madison County, nella sua estatica e solitaria bellezza, a fare da cornice al tripudio d’amore. E nel confronto con la pettegola, annoiata e a tratti disperata vita cittadina di Des Moines emerge trionfante, una sorta di nume tutelare dell’amore.
Beyond the Rosewood bridge: eroi o antieroi?
“I vecchi sogni erano bei sogni. Non si sono avverati… comunque li ho avuti” (Robert Kincaid)
E qui, in questa disamina amorosa e in un certo senso anche sociale che tratteggia il legame con una vita fatta di piccole cose e con la necessità, anche combattuta, di dover andare oltre i sensi e i propri stessi istinti, Eastwood riesce a delineare con sorprendente definizione anche l’ossatura del pensiero femminile, di Francesca. Del suo essere intrappolata nella scelta di diventare moglie e madre tanto da non riuscire a concepire più nessun altro orizzonte. “Noi – dice – siamo le scelte che abbiamo fatto”. La delicatezza incisiva con cui Eastwood disegna i suoi due eroi/antieroi amorosi è il vero fiore all’occhiello di quest’opera, che da un romanticismo classico si erge poi a magnifico manifesto dell’amore sussurrato, rubato al tempo e al destino.
Scandito nei tempi di una crudele clessidra, in una dinamica temporale per certi versi simile al coetaneo Prima dell’alba di Richard Linklater (uscito proprio in quello stesso anno). Momenti di (non) trascurabile felicità che danno senso profondo e definizione a una vita intera. L’amore vince la rivendicazione del suo momento, ma perde nella determinazione di status quo. È il retaggio sociale nella sua “ipnosi collettiva” ad avere in qualche modo la meglio, in vita. Amor vincit omnia, invece, nell’aldilà e nella volontà ultima di restituire entrambi i corpi dei due ex amanti a quel ponte fautore e testimone del loro amore. E anche qui, Eastwood si fa portavoce di un messaggio non scontato né banale. Nel finale de I Ponti di Madison County fa una scelta che sottrae la narrazione al vincolo di banalità e la rilancia attraverso il potere drammaturgico della sospensione, della memoria. E di un tempo breve che di fatto vive immortale nel desiderio, e nel ricordo.
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