La pizza dell'autogrill o dell'aeroporto costa molto (1 trancio 7 euro) e non ha alcun rapporto qualità prezzo
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La truffa della pizza in autogrill: l’impossibile a peso d’oro

Un sistema che non si regge sulla qualità, ma sull’impossibilità di scegliere.

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Non c’è nulla di metafisico nella pizza venduta in certi luoghi. Nessuna redenzione, nessun dogma, nemmeno una briciola di poesia incastrata sotto la crosta. Solo una scheggia tiepida di glutine industriale con la malinconia aromatizzata al formaggio evaporato. Costa 7,10 euro. E non si mangia. Si subisce.

Pizza senz’anima e margini da gioielleria

È una pizza che, spogliata della scenografia in acciaio lucido e delle luci anestetiche, vale meno di una moneta da uno. Lievito chimico, pomodoro standardizzato, mozzarella a basso contenuto di latte. Il costo reale di produzione? Tra 0,75 e 1,30 euro a porzione. Eppure la paghi oltre i sette. Margine lordo: 5,80 euro. Mark-up: più del 500%. Non è un errore di battitura. È un sistema.

Un sistema che non si regge sulla qualità, ma sull’impossibilità di scegliere. Ti trovi in un’autostrada, in un aeroporto, in una stazione: luoghi progettati per spingerti al consumo senza alternativa. Non sono ristoranti. Sono ambienti ad alta pressione economica, dove si vendono prodotti mediocri a prezzi da boutique, giustificati da un contesto che non lascia scampo.

In quei 7 euro per una pizza in aeroporto o un panino in autogrill ci sono costi che con il cibo non c'entrano nulla

Aeroporti, autostrade, stazioni: il sistema chiuso

Dietro quei 7 euro, oltre la teglia calda e il cartoncino da asporto, ci sono strati e strati di costi secondari: royalties fino al 40% sul fatturato per fittare uno spazio in aeroporto o in autogrill, costi di logistica per cibo prefabbricato, personale sotto cooperativa, packaging plastificato e branding ovunque. Ma il cibo? Quello è sempre lo stesso, in ogni città, in ogni latitudine. Inodore, incolore, incollato a un prezzo assurdo. E il consumatore? Ha fame, ha fretta, non ha scelta. Quindi compra.

Nel frattempo, fuori da questi poli del surgelato rigenerato, il mondo reale boccheggia. Le botteghe chiudono. I piccoli ristoratori faticano. Gli artigiani non reggono il passo con i margini industriali dei franchising. Un piatto che un oste onesto ti venderebbe a 6 euro — con pane, tovaglia e sorriso — dentro queste vetrine iperilluminate ti costa il 20% in più ed è un insulto al concetto stesso di sapore.

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È successo qualcosa di peggio della truffa: l’abitudine

Ogni giorno, migliaia di persone accettano. Non protestano, non si stupiscono. È successo qualcosa di più grave della truffa: è diventata consuetudine. Ma no, non è normale che un pezzo di pane con pomodoro da 80 centesimi venga venduto a più di sette euro. Non è normale che l’acqua costi 2,70 per mezzo litro, cioè mille volte il suo costo alla fonte. La normalità non ha margini così alti. L’abuso, sì.

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Scritto da
Terry Nesti

20 anni nel mondo dei sigari Toscano. Flaneur per convinzione, ma non sempre per possibilità, si ritaglia anche le sue passeggiate all’interno del variegato mondo delle degustazioni; che in qualche modo sono delle passeggiate virtuali attraverso l’Italia, dove si vaga oziosamente (nel senso latino del termine), senza fretta, sperimentando e provando emozioni.

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