Correva il 30 luglio 1935 quando – forse in una notte buia e tempestosa, chi lo sa – dieci libri tascabili apparvero per la prima volta sui banconi delle stazioni ferroviarie inglesi. Costavano sei pence, meno di un pacchetto di sigarette e promettevano qualcosa di nuovo: portare la narrativa di qualità fuori dalle librerie. E metterla nelle mani di chiunque.
Era l’inizio di una rivoluzione. A firmarla fu un editore visionario, Allen Lane, che con quel primo lotto di titoli inaugurava la serie Penguin: un marchio che l’anno dopo sarebbe diventato casa editrice a sé e che, nel tempo, avrebbe cambiato il modo di leggere, pubblicare e distribuire libri in tutto il mondo.
Un’idea nata su un binario
L’aneddoto è ormai noto e ben documentato. Allen Lane, editore della Bodley Head, si trovava alla stazione di Exeter dopo aver visitato Agatha Christie. Per gli appassionati della regina del giallo, avrete sentito questo nome decine di volte. Solo in Messaggio dagli spiriti (1931) è citato in ben 5 occasioni diverse. In cerca di qualcosa da leggere durante il viaggio di ritorno, Allen si trovò a riflettere sul fatto che in stazione non si vendessero libri. Erano esposte solo riviste, rivisitazioni di romanzi vittoriani o romanzi popolari di infima qualità.
Tornato a Londra, il lampo di genio: la narrativa di qualità doveva essere disponibile ovunque e per chiunque, a un prezzo contenuto. L’idea era tanto semplice quanto rivoluzionaria: ripubblicare opere già note in formato economico, con una veste grafica sobria, e distribuirle fuori dalle librerie. Nel 1935 propose il progetto al consiglio della Bodley Head, che accettò con cautela: Penguin sarebbe nata inizialmente come marchio sperimentale. L’anno dopo, vista l’entità del successo, divenne una casa editrice indipendente.

I primi dieci libri tascabili
Il primo gruppo di libri, pubblicato proprio il 30 luglio 1935, comprendeva dieci titoli selezionati con cura. Tutti rigorosamente di autori viventi e decisamente celebri. Per un paio di questi scrittori, si può tranquillamente parlare di pietre miliari della lettueratura. Il titolo di punta – o almeno oggi lo vedremmo sicuramente così – era Addio alle Armi di Ernest Hemingway e ovviamente non poteva mancare Agatha Christie con il suo Poirot a Styles Court. Erano ottimamente accompagnati da autori più noti al pubblico inglese.
Allen Lane scelse opere già pubblicate da Bodley Head o da editori con cui era in buoni rapporti, facilitando così i diritti di ristampa. La selezione puntava a un equilibrio: narrativa popolare, romanzi gialli, saggi biografici, con l’obiettivo di incontrare gusti diversi ma mantenere uno standard qualitativo. La narrativa di consumo sì, ma con firma d’autore.
I primi dieci titoli, oltre ai due già citatim furono: Ariel di André Maurois, Il Pelican Pub di Eric Linklater, Madame Claire di Susan Ertz, Bellona Club di Dorothy L. Sayers, Twenty-Five di Beverley Nichols, William di E. H. Young, Tornata alla terra di Mary Webb e Carnival di Compton Mackenzie.
Grafica, prezzo, distribuzione: la formula perfetta
La scelta del formato era ispirata alle edizioni tascabili già sperimentate in Germania da Albatross Books. Fu però l’esperienza e l’idea di Allen e della Penguin fare da benchmark e da ispirazione per tutti i tascabili della storia da lì in poi. Anche se nel consiglio della Albatross sedeva un certo Hans Mardersteig, allora direttore
artistico della Mondadori.
I Penguin erano stampati in brossura, con copertine tipografiche, codice colore per genere (arancione per la narrativa, verde per i gialli, blu per la biografia), nessuna immagine illustrata. Un design che oggi potremmo definire “di rottura”: pulito, essenziale, quasi provocatorio per il tempo. Il prezzo, fissato a sei pence, era accessibile anche alle classi lavoratrici. Ma la vera rivoluzione fu nella distribuzione: i libri non si trovavano solo nelle librerie, ma anche nelle stazioni ferroviarie, nelle tabaccherie, nei negozi Woolworth. Penguin capì che, per vendere cultura, bisognava andare incontro al lettore. Non aspettarlo.

Penguin: 1 milione di copie in dieci mesi
Il pubblico rispose con entusiasmo. Nei primi dieci mesi furono vendute circa un milione di copie. Le ristampe si moltiplicarono e le richieste superarono ogni previsione. La Bodley Head (soggetta ad alterne fortune nella storia e oggi specializzata in saggistica, ndr) non riusciva più a gestire la portata del progetto, e così, nel 1936, Allen Lane registrò Penguin Books come casa editrice autonoma. Fu affiancato, nell’avventura, dai fratelli Richard e John.
In breve tempo, Penguin diventò sinonimo di cultura accessibile, ispirando anche altre case editrici a investire nel formato economico. Non tutti, però, furono entusiasti. George Orwell, ad esempio, criticò la formula perché — a suo dire — avrebbe incentivato la lettura superficiale. Eppure, proprio quell’accessibilità fu ciò che rese Penguin un simbolo democratico.

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Lady Chatterley e altri scandali
Negli anni successivi, Penguin non si limitò a ristampare titoli di successo: contribuì a plasmare il dibattito culturale del Regno Unito. Nel 1960, quando decise di pubblicare L’amante di Lady Chatterley di D. H. Lawrence in edizione integrale, fu accusata di oscenità. Il processo legale che ne seguì — il primo del genere nel Regno Unito dopo l’approvazione dell’Obscene Publications Act — si concluse con un’assoluzione storica. Penguin vinse e il libro fu pubblicato. Quella sentenza rappresentò un punto di svolta nella libertà di stampa e nella liberalizzazione del costume.
Già da prima, però, con la collana Penguin Specials (lanciata nel 1937), la casa editrice aveva contribuito a informare il pubblico su temi di attualità, economia e politica. Con la Seconda guerra mondiale, Penguin stampò anche edizioni per i soldati al fronte, mantenendo il proprio impegno nel rendere la lettura parte integrante della vita quotidiana.
Penguin: un design mitico
Il design dei primi Penguin fu una scelta tanto economica quanto radicale. Niente immagini in copertina, nessun orpello grafico: solo il titolo, il nome dell’autore e il logo del pinguino, disposti in modo ordinato su bande orizzontali colorate. L’impatto fu immediato. Quelle copertine, così essenziali e riconoscibili, segnavano una rottura con la tradizione illustrata dei romanzi economici. Negli anni successivi il design evolse, ma senza mai tradire la sua identità: arrivarono le collane dedicate, le illustrazioni minimaliste, le griglie tipografiche raffinate.

Il tocco moderno di Germano Facetti
Nel 1961 Penguin affidò la direzione artistica a Germano Facetti, grafico e designer italiano che avrebbe segnato un punto di svolta nell’identità visiva della casa editrice. Facetti introdusse una nuova coerenza tipografica, uniformando le copertine secondo una griglia modulare ispirata al razionalismo svizzero. Il risultato fu una linea editoriale compatta, elegante, immediatamente leggibile. Ogni libro divenne parte di un sistema visivo in cui contenuto, forma e funzione dialogavano con precisione. Le collane furono distinte non solo per colore, ma per layout, font e struttura.
La copertina non era più solo un contenitore: era un’estensione del testo. In collaborazione con designer come Romek Marber, Facetti trasformò la grafica Penguin in una case of study, ancora oggi portato a esempio nei corsi di design editoriale. In un’epoca in cui l’industria editoriale si apriva alla massa, lui riuscì nell’impresa più difficile: unire rigore e accessibilità.
Un anniversario che parla al presente
A novant’anni dall’uscita dei suoi primi dieci titoli, Penguin resta molto più di un marchio editoriale. È il simbolo di un’idea democratica della cultura, di una fiducia semplice e rivoluzionaria nella lettura come atto quotidiano. Il tascabile, in fondo, non ha solo cambiato il mercato: ha cambiato il lettore. Ha fatto entrare i libri nei treni, nelle tasche, nelle pause pranzo. E, nel farlo, ha accorciato la distanza tra le persone e le storie.
Allen Lane forse non immaginava tutto questo quando, su quel binario di Exeter, cercava un romanzo per passare il tempo. Ma da quell’assenza è nata un’epoca. E novant’anni dopo, la domanda resta la stessa: dove troviamo, oggi, i libri che davvero ci accompagnano?
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