Da “il cielo è azzurro sopra Berlino” alla notte fonda lunga quasi vent’anni di crisi della Nazionale italiana il passo non è per niente breve. Fatta eccezione per la parentesi dell’Europeo vinto nel 2021 la compagine azzurra sembra perda linfa vitale anno dopo anno. La disfatta in casa della Norvegia con un sonoro 3-0 ha risvegliato ancor di più gli animi degli italiani storditi e increduli di fronte a una prestazione terribile della squadra che mette davvero in crisi anche il sostenitore più convinto.
E a poco è valsa la vittoria di stasera contro la Moldavia – 2 a 0 -, la qualificazione ai Mondiali 2026 non è affatto scontata, rischiamo di rimanere fuori dalla competizione che si giocherà tra Canada, Messico e Stati Uniti per la terza volta consecutiva. Il record negativo comunque è già stato battuto perché fuori dai giochi per due edizioni non era mai successo. Solo nel 1958 in quella che allora si chiamava Coppa Rimet la Nazionale non riuscì ad approdare in Svezia.
Cosa serve per partecipare ai Mondiali 2026
La domanda da 1 milione di dollari è cosa serve all’Italia per partecipare alla Coppa del Mondo del 2026? Per l’Europa l’Uefa mette a disposizione 16 posti da occupare nel ricco calendario di partecipanti quest’anno portato a 48 squadre. Nei dodici gironi a cinque o a quattro squadre delle qualificazioni ai Mondiali solo chi è prima si qualifica direttamente. Rimangono quindi 4 posti che saranno assegnati tramite uno spareggio a 16 compagini. Di queste 12 sono le seconde classificate dei gironi e 4 sono le migliori posizionate nella Nations League.

L’Italia, se dovesse arrivare terza nel suo girone, potrebbe arrivare ai play off dei Mondiali 2026 in virtù del secondo posto ottenuto nel girone di Nations League da cui è uscita dopo la sconfitta con la Germania. In questo caso però dovrebbe sperare che le sue dirette concorrenti, meglio posizionate nella stessa competizione, accedano direttamente al Mondiale o ai play off.
Quali sono le possibili ragioni della crisi dell’Italia
Calcoli a parte, questa sera Luciano Spalletti ha giocato l’ultima partita sulla panchina azzurra. Come già si sa domenica è stato sollevato dall’incarico dal presidente della FIGC Gabriele Gravina. Ma è giusto dare tutte le colpe della disfatta italiana al ct? O sarebbe più opportuno invece carpire le cause della crisi in un contesto più ampio e spalmato nel tempo?
Non è un problema che risale soltanto a oggi il mancato investimento nei giovani. Pescando nella cantera del Barça, per fare l’esempio più lampante, è nato un campione come Lamine Yamal. Giocatore che a soli 17 anni ‘rischia’ di vincere il Pallone d’oro e nel 2024 si è diplomato campione d’Europa con la Roja. Restando invece dalle parti nostre il migliore in campo nella disfatta di Oslo dell’Italia è stato Diego Coppola. Il più giovane e meno stipendiato, che ha debuttato con la Nazionale maggiore soltanto adesso a 21 anni.
La differenza con la Spagna o altre Nazionali è nel fiorire tardi, aspettando chissà cosa e chissà chi per chiamare un ragazzo nei club di Serie A e a vestire l’azzurra casacca. Si preferisce schierare in campo i soliti tra cui quelli del classico blocco Inter che hanno permesso di prendere gol ridicoli come quelli a Oslo. Non che gli altri della rosa debbano gioire, sia chiaro.
Un modello da prendere a esempio
Ci si potrebbe chiedere se forse l’idea giusta per risollevare la qualità degli italiani in campo non sia quella proposta vent’anni fa da Aurelio De Laurentiis.
Il patron partenopeo ha vinto due scudetti in tre anni tenendo i conti in regola e con almeno 4 italiani in campo. Inoltre ha sempre predicato di portare l’attuale Serie A a 18 squadre, di investire nei giovanissimi, di giocare di meno nelle coppe nazionali e di non assecondare e giustificare bilanci in rosso. Anche la stampa estera se ne rese conto.

“Beppe fai la valigia andiamo a Berlino!”. Quando la Nazionale ci faceva sognare
Dagli anni ’90 ad oggi, il calcio come specchio di un’Italia che cambia, tra gioie, delusioni e la speranza di un ritorno al sogno. di Chiara Maria Gargioli
Ne parlò già alla luce di acquisti degni di nota in cui la SSC Napoli ha avuto la lungimiranza di trovare perfetti sconosciuti – almeno dalle nostre parti – e rivenderli a cifre importanti tenendo così il bilancio in attivo. E allora perché non prendere esempio da questo modello vincente agli occhi di tutti? L’antica questione della città all’ombra del Vesuvio che sta antipatica a certi ambienti e di una sorta di sudditanza verso alcuni club resta sempre attuale.
Ma a parlare della crisi del calcio italiano è stato anche Claudio Lotito, ad esempio, che a marzo scorso, a margine di un evento organizzato dalla Luiss ha dichiarato, come ha scritto Eurosport: “Tante squadre che oggi militano in Serie A non avevano i requisiti per iscriversi al campionato. Ma come fai a eliminare certe squadre blasonate? Serve coraggio e non tutti ce l’hanno”.
Non basta cambiare commissario tecnico per risolvere la crisi, forse una vera rifondazione della Nazionale dovrebbe avvenire a livello di dirigenza con uomini alla guida della FIGC che ne capiscano davvero di pallone. Ex calciatori potrebbero essere i grandi che hanno portato l’Italia ai massimi livelli, vedi, ad esempio, Baggio, Totti e Del Piero. Un po’ meno politica insomma ma decisamente più competenze sportive.
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