Nell’estate del 1990, mentre la radio suonava Notti Magiche e gli stadi Italiani ospitavano i Mondiali, le mie vacanze iniziavano in un campeggio organizzato dai preti a Roseto degli Abruzzi. Gli eventi più importanti di quelle giornate di cui ho ricordi di bruciature da meduse, odore di abbronzanti al cocco e piedi scalzi e neri, erano le dirette di Italia 90, sulla terrazza del bar del campeggio. Questo è il mio primo ricordo della Nazionale Italiana Calcio che all’epoca si poteva tifare con un “Forza Italia!” senza paura di essere ritenuti sostenitori di un partito politico che, anni dopo, ci avrebbe privato anche di quell’esultanza.
USA ’94: Il sogno infranto e la delusione di una generazione
Quattro anni dopo, in piena età adolescenziale, la finale contro il Brasile a Usa 94 era da vedere con gli amici della comitiva del mare. Tutti al bar del Lido e poi pronti a festeggiare con un tuffo in notturna la vittoria. Eravamo usciti di casa muniti di costume e asciugamano ignari che di lì a poco “il Roberto Baggio codino d’oro”, l’eroe di tutti noi, avrebbe mandato il pallone alle stelle e noi a casa asciutti, perdenti e molto delusi.
Nel 2006 le speranze di vittoria erano ancora più basse. Il calcio italiano veniva fuori da uno scandalo che aveva scosso profondamente il sistema. Si partiva sconfitti e con l’entusiasmo sotto i piedi. La voglia di riscatto però era immensa. Tifare per gli Azzurri era l’unica certezza che rimasta. Essendo nata a Giugno, mese in cui inizia la competizione, feci comprare a mio padre un televisore nuovo, più grande, tanto c’erano gli sconti per “i Mondiali”, appunto.

Organizzai una festa di compleanno a tema, compreso il dress code: verde, bianco e rosso. Dando inizio a un rito che si sarebbe concluso con la finale, alla quale avevamo approdato con le urla di Fabio Caressa e il suo “Peppe fai la valigia andiamo a Berlino!”, con gli amici di sempre esplose una gioia incontenibile e la festa per le strade della città.
Più che tifosi, Italiani: un senso di appartenenza unico
C’erano persone che non erano interessate al calcio, erano solo “tifosi della Nazionale Italiana di Calcio”. Può sembrare un controsenso ma era così, pura verità. Si tifava per qualcosa che ti rendeva identitario non con la tua città ma con il tuo Paese, la tua Nazione.
Questa è stata la Nazionale Italiana con la quale siamo cresciuti noi ragazzi degli anni 90, e prima di noi i nostri genitori, oggi vederla ridotta così, non solo mi spezza il cuore ma mi porta a pensare ai miei nipoti adolescenti – 17, 14, 12 anni -. Loro non hanno mai avuto modo di sentirsi parte di una comunità come è capitato ai ragazzi e alle ragazze della mia generazione. In quei momenti l’Italia ci teneva tutti uniti. Non esistevano differenze di età, di squadre, di calciatori: l’Italia era una, una e bellissima.
Quando nel 2018 la Nazionale Italiana Calcio ha mancato la qualificazione ai Mondiali in Russia, non riuscivo a pensare che fosse possibile, che stessi assistendo a qualcosa di reale. Domenica ho letto il pezzo di Francesco Piccolo su La Repubblica: “Mondiali, La generazione derubata del sogno”, ho cominciato a ricordare com’era e com’eravamo.
Ho anche pensato ai miei nipoti adolescenti. Sono tre maschi, e solo uno di loro, il più piccolo, è un appassionato di calcio e sapete perché? Perché nel 2021 la Nazionale di calcio ha vinto gli Europei.
I Mondiali: riti, scaramanzie e la gioia ritrovata
E’ bastata quell’emozione per catapultarci in quel mondo fatto di riti e scaramanzie, di cene tutti insieme e trombette da suonare. Di giri per la città e canzoni da urlare al cielo. Quella vittoria gli ha fatto assaggiare quello che per noi, ragazzi degli anni 90 era la normalità. Un appuntamento da non mancare per tirar fuori l’orgoglio di essere italiani e poter essere “uniti” nel vero senso del termine nella gioia della vittoria o nella consolazione di una sconfitta. Un po’ come il tennis di oggi se vogliamo ma il tennis non è un gioco di squadra.

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Sembra che in questo mondo costituito sempre più da egoismi anche lo sport si sia adeguato. Si sia fatto uno e non molteplicità. Il rigore sbagliato di Roberto Baggio a noi ha insegnato che anche i migliori possono sbagliare, che può capitare. La vittoria nel 2006 della Nazionale ci ha ricordato che a volte se non si è favoriti si può vincere. E questo lo abbiamo imparato tutti, non solo grazie al calcio certo ma anche grazie ai Mondiali.
Guardare i Mondiali creava quella magia che solo il gioco possiede: tutto era possibile, tutto. Questi ragazzi di oggi dove trovano speranza e consolazione? Spirito di squadra e voglia di rivincita?
La vita è piena di prove, di brutte notizie e rinunce, la Nazionale Italiana di Calcio – a quell’età – era una sorta di Stella Polare. Ti faceva navigare tranquillo in un mare agitato. Spero solo che torni quel sogno, perché ogni ragazzino merita di esplodere di gioia, indossando la maglia azzurra con il volto segnato dai colori della nostra bandiera.
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