Dal Queens al municipio: la storia di Zohran Mamdani, il sindaco che vuole riscrivere New York e il sogno americano in chiave sociale. Un’elezione tra utopia e realtà, mentre le nuove Governatrici Dem di New Jersey e Virginia parlano la lingua della concretezza.
Il 4 novembre 2025 New York ha scelto un nuovo sindaco. Ma più che un cambio di nome, è stato un cambio d’epoca: Zohran Mamdani, economista trentaquattrenne, figlio di immigrati ugandesi di origine indiana, attivista del Democratic Socialists of America, è diventato il nuovo volto politico della città più famosa del mondo. Capitalista, con un’anima profondamente europea, ha scelto un ragazzo che sembra un paradosso apparente, ma che fotografa in realtà perfettamente questi tempi. Anche nel suo essere figlio della classe intellettuale – padre professore alla Columbia, madre regista di successo – ma frontman di quelle più deboli. Almeno per ora.
L’elezione di Mamdani vista dagli insider
Secondo Reuters e The Guardian, Mamdani ha vinto, con un margine netto sul candidato moderato, grazie a un voto compatto nei quartieri più giovani e multiculturali del Queens e di Brooklyn. La sua campagna, finanziata dal basso e costruita sui temi dell’edilizia pubblica, del trasporto accessibile e della giustizia climatica, ha rovesciato la narrativa consolidata di una New York guidata dai pragmatici. Dopo gli anni di Eric Adams, seguiti da tensioni sulla sicurezza e sui costi della vita, la città ha scelto un sindaco che parla di redistribuzione e di diritti come se fossero parte dell’architettura urbana.

“New York deve tornare a essere una casa, non un investimento”, ha dichiarato Mamdani nel suo primo discorso da sindaco, davanti al municipio di Manhattan. Un messaggio semplice, ma attualmente in decisa controtendenza rispetto sia al passato newyorkese che al presente della Nazione. Secondo il Financial Times, la sua vittoria ha suscitato reazioni miste a Wall Street: preoccupazione per un eventuale aumento della tassazione sui grandi patrimoni, ma anche curiosità verso un modello che promette inclusione senza crollo economico. Secondo il giornalista italiano Luca Marfè nel suo MarfèAmericano, una delle sfide più interessanti che si troverà ad affrontare sarà il rapporto con le grandi ricchezze di New York che in un regime burocratico più fluido, come quello americano, potrebbero in pochi giorni traslocare in Stati ben più leggeri dal punto di vista fiscale.
Una biografia trasversale
Dietro la figura del nuovo sindaco c’è anche una traiettoria personale che parla di un’America post-razziale e intersezionale: nato a Kampala, cresciuto nel Queens, laureato in economia, rapper in gioventù, attivista per l’abitazione popolare e poi deputato statale. Una storia che incarna la New York che si racconta nei suoi autobus, nei suoi caffè, nei suoi murales. Certo, aver studiato in un college da oltre 60mila dollari annui (lo stesso Bowdoin, nel Maine, dove hanno studiato tra il Presidente degli Stati Uniti Franklin Pierce e gli scrittori Nathaniel Hawthorne e Henry Wadsworth Longfellow), non rende Zohran Mamdani propriamente un figlio del Bronx, ma le sue promesse sono ancora tutte da dimostrare. E per questo decisamente ancora tutte vere.
E, forse proprio per questo, Mamdani è riuscito a unire mondi che raramente si parlano: i giovani ambientalisti e gli anziani sindacalisti (lui stesso ha raccontato che la folgorazione sulla via della politica l’ha avuta grazie a Bernie Sanders), le comunità migranti e i professionisti urbani in cerca di senso civico. Alcuni editoriali su Al Jazeera e The Guardian hanno sottolineato il valore simbolico della sua elezione anche sul piano internazionale: un politico apertamente solidale con i diritti palestinesi, eletto nella città simbolo della diplomazia americana.

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New York, una sfida tra utopia e realismo
Supportato da una grande ondata di entusiasmo collettivo, che però dovrà fare i conti già prima del suo insediamento – che avverrà l’1 gennaio 2026 – con l’ostruzionismo di Trump (d’altronde, la sua elezione è essa stessa un messaggio al Presidente Usa), che non solo ha minacciato di tagliare i fondi federali alla città, ma governa la Polizia dell’Immigrazione che potrebbe non aver vita facile nei prossimi mesi a New York. Si arriverà agli scontri con la famosa NYPD? Non possiamo saperlo, ma di certo la chiosa del discorso della vittoria di Mamdani è programmatica: “Se vorranno prendere anche solo uno di noi, dovranno passare sopra tutti noi. Questa città è stata fondata da immigrati, è stata fatta grande dagli immigrati. E da stanotte, è guidata da un immigrato”.
Per New York, insomma, il mandato di Mamdani sarà una sfida tra utopia e realismo. Una prova che va oltre i confini municipali e interroga l’identità stessa dell’America urbana.
Due donne, due stati: la leadership pragmatica di un’America che cambia
La notte del 4 novembre non è stata solo di New York. Negli stati della Virginia e del New Jersey, la mappa politica americana si è colorata di un altro segno di svolta: per la prima volta nella storia, entrambi hanno eletto una governatrice.
In Virginia, l’ex agente CIA Abigail Spanberger ha sconfitto il repubblicano Glenn Youngkin, ponendo fine a un ciclo conservatore iniziato nel 2021. Secondo The Guardian e Reuters, la sua campagna ha puntato su sicurezza, scuola pubblica e diritti riproduttivi, con un linguaggio diretto ma empatico. È la prima donna a guidare lo stato e la sua vittoria ha il sapore della normalità progressista: niente slogan estremi, solo la promessa di un governo stabile, pragmatico e vicino ai cittadini. Un po’ distante dalle orme di Mamdani, ma simbolica nel suo stesso essere.

Nel New Jersey un’altra donna molto forte. È stata infatti eletta Mikie Sherrill, ex pilota della Marina già deputata democratica, hforte di una piattaforma centrata su infrastrutture, assistenza sanitaria e riforma fiscale. Secondo Le Mondela sua vittoria consolida un nuovo modello politico: un femminile del potere sobrio, razionale, non gridato. Insieme, Spanberger e Sherrill rappresentano una nuova generazione di leadership democratica — meno ideologica, più esperienziale — che parla a un elettorato stanco della polarizzazione.
Oltre le urne: un’America in cerca di equilibrio
Tre volti, tre storie, un’unica direzione: la richiesta di un nuovo patto tra politica e realtà. Il voto del 4 novembre 2025 racconta un’America che non rifiuta la tradizione, ma la riporta a misura d’uomo (e di donna). New York torna a essere il laboratorio della democrazia, mentre la Virginia e New Jersey ne tracciano la grammatica.
Come scrive il Financial Times: “Il messaggio di queste elezioni non è ideologico ma emotivo: il ritorno alla fiducia”. E in un Paese che vive di simboli, non è poco: l’America del 2025 non si è spostata a sinistra o a destra. Semplicemente, ha deciso di muoversi.
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