Esposizione di un pane tradizionale libanese, il Ka'ak
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Il fornaio libanese: pane e resistenza a Beirut adesso come allora

Nella Beirut del 1982, tra guerra e occupazione, un uomo sceglie di impastare pane invece di imbracciare un fucile. Il libro di Eugenio Cardi parla di memoria, resistenza e amore in tempo di assedio.

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Eugenio Cardi, con questo suo dodicesimo libro, Il Fornaio Libanese, ci consegna un volume che è molto più di un romanzo. Racconta le vicissitudini di uomini e donne nella Beirut del 1982 durante l’invasione – ma
anche occupazione, distruzione e morte – ad opera dell’IDF, le Forze di Difesa Israeliane.

Ibrahim: il fornaio resistente

La storia inizia con le mani forti e robuste di Ibrahim, una volta docente universitario di Letteratura
all’Ateneo di Beirut
ma come per tanti libanesi, anche per lui quel 6 giugno del 1982 rappresentò un
vero spartiacque tra il prima e il dopo. È la data dell’invasione del territorio libanese, da parte
dell’esercito israeliano con particolare accanimento sulla parte ovest della Capitale, Beirut. Era qui
che vivevano i mussulmani libanesi, in questo lembo di terra martoriato e pressoché raso al suolo già
a partire da una manciata di giorni dopo quel fatidico 6 giugno.

Ibrahim, quindi, lascia la toga universitaria per occuparsi del forno di famiglia. Quello in cui suo padre per anni aveva preparato il pane per tutta la città ma che proprio quel 6 giugno morì d’infarto durante l’invasione. Il forno di Ibrahim, nel corso di tutta la storia raccontata nel romanzo di Cardi, ha un duplice significato. Da un lato la preparazione del pane a disposizione dei libanesi di Beirut ovest, che rappresenta quel gancio provvidenziale che permette alla popolazione martoriata e massacrata di aggrapparsi a quel flebile barlume di normalità, che è appunto il pane. Dall’altro, il forno del professore-fornaio è resistenza fisica. È, infatti, il luogo in cui i resistenti s’incontrano per progettare fughe da Beirut, per scampare i controlli dei checkpoint dell’IDF posti in ogni angolo della città.

Il Fornaio di Beirut: tappe fondamentali di una storia difficile

Un romanzo che permette il difficile esercizio di memoria, attraverso la ricostruzione storica. Questo romanzo, di fatto profondamente storico, non lascia spazio all’immaginazione. Cardi racconta i fatti con chirurgica precisione, aiutando il lettore nella sempre difficile ricostruzione storica soprattutto quando si parla di situazione mediorientale. Soffermandosi, nello specifico, sul conflitto tra israeliani e palestinesi a partire dal 1948.

La copertina del libro Il Fornaio Libanese
Il Fornaio Libanese

La guerra civile

Tra le pagine vengono fissati e raccontati eventi drammatici che caratterizzano le storie dei tanti protagonisti che si avvicendano nel romanzo. Come la grande Nakba del 1948 quando, a seguito della nascita dello Stato d’Israele, il popolo palestinese fu cacciato dalle proprie abitazioni ed espropriato delle terre, vera ed unica fonte di guadagno e sostentamento di quei tempi. Ma anche di oggi.

La guerra civile libanese del 1975 che vide scontrarsi i cristiani maroniti da una parte e musulmani dall’altra. O, ancora, il massacro nel campo profughi di Sabra e Shatila del settembre 1982. Fu perpetrato dai cristiani – maroniti con l’appoggio dell’esercito israeliano che bloccò ogni via di fuga e illuminò a giorno il campo permettendo ai maroniti di agire indisturbati.

Il racconto “oltre il fornaio”: la resistenza potente delle donne

Resistere non vuol dire solo combattere imbracciando un fucile. Un mantra che per noi italiani risuona sin dalla seconda guerra mondiale, quando toccò a noi difenderci dall’invasore. Ci fu l’azione decisiva di chi in prima linea ha combattuto corpo a corpo. Ma anche quella non meno importante di chi le trame della resistenza le ha intessute percorrendo altre strade. E tornando al romanzo di Cardi, questa resistenza senza armi è stata condotta da donne forti, potenti e coraggiose. Come Lina, moglie di Ibrahim e infermiera del Lebanese Hospital che dall’inizio dell’occupazione israeliana aveva escogitato tecniche di sopravvivenza per i pazienti mussulmani facili prede delle incursioni dell’ODF lì nell’ospedale.

O ancora Najima e Zaynab, due sorelle di 10 e 20 anni che non hanno mai conosciuto una esistenza diversa da quella della segregazione, figlie di Layla una volta insegnante di scuola materna poi sarta di fortuna dopo l’invasione israeliana di Beirut. Najima, nonostante i sogni e le speranze, decide di non intraprendere gli studi universitari. Lascia la sua città sotto assedio per intraprendere un viaggio difficile e rischioso, quello verso la Cisgiordania. E, più precisamente, verso il campo profughi di Jenin per raggiungere suo padre Tariq, capo del campo. Qui Najima organizza un campo scuola per i bambini ed i ragazzi del campo. L’istruzione serve a ridare dignità a chi l’ha persa ma è anche una speranza concreta per il futuro.

Zaynab è troppo giovane per partire – ha solo 10 anni -. Resta a Beirut insieme alla madre, ma prende parte anche lei alla resistenza frequentando attivamente il forno di Ibrahim. Qui ascolterà le parole dei resistenti libanesi, assiste alla preparazione del pane in cui Ibrahim infila biglietti con messaggi destinati ai combattenti, farà da staffetta e da guida a tutti coloro che avranno la necessità di incontrare il fornaio Ibrahim per chiedere protezione. O anche per avere indicazioni su come lasciare la città.

Il pane ed il cibo, per tenersi aggrappati alla normalità

La man’oushe è una focaccia tipica del Libano, citata tra le pagine del Fornaio Libanese
Man’oushe – una delle ricette citate ne Il Fornaio Libanese

Nel libro di Cardi viene dato un ruolo pressoché da protagonista alla preparazione del pane, ma
anche del te e di alcuni piatti tipici della tradizione gastronomica palestinese. Ibrahim con la preparazione del pane, anche sotto le bombe che cadono vicine e fanno tremare il forno, consegna alla sua gente briciole di normalità quotidiana. Prepara la man’oushe, una focaccia libanese tanto amata da Zaynab oppure il khubz, un pane piatto, schiacciato e piuttosto morbido grazie ad una cottura veloce. Tra le pagine del suo libro, l’autore costruisce un ricettario palestinese di piatti noti a noi occidentali (l’hummus, in primis) ed anche sconosciuti. Tutti preparati dalle donne palestinesi con pochi e poveri ingredienti spesso in cucine di fortuna nelle tende dei campi profughi.

Tra questi il maqloubeh. Ovvero il piatto di riso al curry che viene sformato al momento del servizio, che prepara la madre di Basim, il giovane ragazzo che Najima conosce appena arrivata nel campo profughi e dal quale non si dividerà mai più. E ancora il mujaddara, uno stufato a base di lenticchie e grano oppure il kechek el fouqara, anche noto come il formaggio dell’uomo povero.

Il male – sempre troppo banale – che si scontra con la forza di chi resiste

Hannah Arendt ce l’ha spiegato passo passo nel suo libro che riporta nel titolo la più amara delle
verità: la banalità del male, che nel lungo svolgersi della storia già duemila anni fa, come oggi, si
ripete sempre nello stesso identico modo. Annientare la dignità umana, privando intere popolazioni
di tutte le libertà possibili, della loro identità culturale, affamandoli e solo alla fine uccidendoli o
lasciandoli morire.

È a questa iniqua banalità che si contrappone anche nel volume di Icardi tutta la potenza fortissima dell’altra faccia della resistenza. Quella che ha l’unico grande scopo di riconsegnare a questa popolazione martoriata degli squarci di normalità. Quelli del pane e dei piatti palestinesi del “Fornaio libanese”, come detto. Ma anche l’amore che nasce da Najima e Basim o gli occhi vispi e curiosi dei bambini nel campo profughi di Jenin che imparano a leggere nelle scuole di fortuna costruite con teloni di plastica, dove i sassi diventano gessi.

Concludiamo con una frase riportata nel libro, che forse meglio di qualunque altra riassume lo spirito del popolo palestinese. Popolo che – mai come in questo periodo storico – dovrebbe poter contare sull’appoggio di tutti coloro che si lasciano muovere solo dal senso di umanità. “Essere palestinese, vuol dire sognare l’impossibile e trasformarlo in realtà”. Ed è l’augurio che facciamo ai gazawi ed ai palestinesi tutti.

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Dove, Come, Quando:

Il fornaio libanese
di Eugenio Cardi
Editore: Narrativa Santelli
Pag. 290
€ 17,99

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Scritto da
Giovanni Ramacci

Classe 1976, ingegnere nucleare, romano ma cittadino del mondo grazie alla sua professione che lo porta ovunque. Amante di cucina internazionale ha un debole per i piatti “green”, si dichiara un carnivoro pentito ma non è vegano. Non ancora! Lettore compulsivo e grande appassionato di cinema d’autore.

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