Sono passati quasi vent’anni da quando un cappotto lanciato su una scrivania cambiò per sempre il nostro concetto di “buongiorno in redazione”. Correva l’anno 2006, e Il Diavolo Veste Prada ci aveva appena insegnato che il ceruleo non è un azzurro qualsiasi, ma un atto politico. Oggi, nel 2025, Miranda Priestly è tornata. Ma attorno a lei tutto è cambiato: la moda, il potere, le riviste (che non sono più riviste), e perfino Andy Sachs, che ora porta lo sguardo di chi ha superato il trauma di Runway.
Le prime foto dal set di Il Diavolo Veste Prada 2 sono già virali. Miranda indossa una mantella ghiaccio firmata Valentino e occhiali scultorei degni di una dominatrice da boardroom. Emily Blunt sfoggia un taglio rosso fuoco e cappotti a uovo. Andy? Minimalista, fredda, direzionale. Il beige è il nuovo ceruleo. La domanda non è se ci piacciano: la domanda è quando è successo tutto questo? E soprattutto quanto è cambiato?
Il mondo cambia e la moda lo racconta
Nel 2006 il potere era quasi granitico, deciso nei colori e urlato nei dettagli: rosso, nero, cinture larghe e silhouette scolpite. Oggi è orizzontale, algoritmico, più difficile da individuare ma altrettanto presente. Le linee si sono ammorbidite, i toni sono diventati ghiaccio, i volumi si sono allargati. È il potere che non ha bisogno di esibirsi, perché ha già imparato a farsi notare nel silenzio. Ma quanto e come sono cambiate le nostre tre protagoniste?

Andy è cambiata: dal ceruleo al power‑menswear
Nel 2006, Andy rappresentava l’archetipo di tutte le nuove arrivate. Anzi, di più, incarnava tutte quelle donne – e quegli uomini – che “si prendono troppo sul serio per curarsi di quello che si mettono addosso”. Come dire: mi piacciono i libri, non potranno mai piacermi le scarpe (che poi, chi ci avrà mai chiesto di scegliere?).
Dalle prime foto dal set, è chiaro come tutto sia cambiato. Anne Hathaway si è mostrata in delle scene che possono sembrarci familiari (corre con il telefono incastrato tra spalla e orecchio e il caffè in mano, aspetta il taxi in fila con un cappotto super cool) ma in realtà anche solo gli abiti che indossa dimostrano che tutto è oltre: pantaloni bianchi Nili Lotan, top bianco strutturato di Phoebe Philo, pumps Prada con borchie e una borsa vintage Coach Re‑Loved del 1987. Il “calcio” al maglioncino della nonna è stato dato davvero, ma non è solo quello. Il suo stile è cambiato anche rispetto alla Andy modaiola che vediamo nella tranche centrale del film del 2006.
Oggi tutto sembra essere – la conferma ovviamente la avremo solo a film concluso – legato all’estetica minimal e di quiet luxury che veste il potere femminile oggi. Perfino nel look più sbarazzino visto fino a ora, quello con il maxi vestito che ricorda un po’ un quadro di Mondrian, non c’è veramente un guizzo di colore acceso. Il tocco più creativo è il cappellino di paglia di &otherstory, mentre la Fendi Forty8 bag “blu mirto” è il simbolo perfetto dello status: alta moda ma di plastica riciclata. Lusso, ma green. Almeno per la coscienza di una donna in carriera a New York City.

Miranda Priestly: l’icona che affronta il tempo
La regina è tornata. Meryl Streep è stata avvistata a Manhattan con un trench marrone Gabriela Hearst – uno dei designer più indossati della serie – stando alle prime foto – camicia lilla, gonna a sigaretta al ginocchio – queste le amava anche nel 2006 – heels coordinati e maxi occhiali neri da sole. Il quiet luxury si è infiltrato sicuramente anche qui, ma i suoi fan possono stare tranquilli: è bastata un’occhiata al suo long-bob platino, alla falcata rubata in alcuni video e soprattutto alla sua smorfia-simbolo (ricordate la sfilata saltata perché aveva arricciato le labbra?) per rassicurare tutti sul fatto che la regina era veramente di nuovo in città.
Su di lei il cambiamento si vede innegabilmente meno rispetto a quanto avvenuto con il guardaroba della sua ex (ma sarà veramente ex? dobbiamo aspettare l’anno prossimo per saperlo, il film uscirà il 29 aprile 2026, pochi giorni prima del Met Gala) assistente. Eppure c’è. Il cambiamento in Miranda esiste non perché sia cambiato il suo status all’interno della narrazione, ma perché è talmente immersa nella realtà dell’alta moda che non potrebbe essere altrimenti. D’altronde negli ultimi 19 anni il mondo è stato rivoluzionato almeno 4 o 5 volte.
Emily Charlton: da assistente a dirigente. Un cambiamento che ci lascerà senza parole
Emily Blunt torna a vestire i panni della sua quasi omonima con grande stile e comodità. In fondo certi personaggi, forse, non lasciano mai del tutto chi li ha interpretati. E quindi via il tanto amato castano-biondo cenere che è il colore naturale dell’attrice e ben tornato lob ondulato color rosso fiammante. È rimasto nella storia quasi quanto la frangetta di Andy del 2006 che ha fatto piangere molte donne, dai 20 ai 75 anni, in tutto il mondo. D’altronde, stava bene solo a lei, ma noi lo abbiamo ignorato.
I look di oggi di Emily sono decisamente intriganti, anche se al momento abbiamo poche sue foto, in quanto è l’ultima a essersi unita alle riprese: pantaloni pinstripe Jean Paul Gaultier, corsetto laccato, camicia Dior, occhiali Dior. Il tutto firmato dal suo pallore nobile e dal sorriso snobbish. Sul beauty look ci sarà ancora da aspettare invece per avere un quadro completo. Anche se, se non vogliamo rovinarci la visione del film, forse è meglio non sapere proprio tutto tutto.
Emily, insomma, non è cambiata, ma trasformata: severa, ma ora con ironia. I pattern rigati rimangono, ma l’oversharing estetico lascia il posto a un’estetica calibrata, un po’ teatrale, volutamente staged — perfetta per TikTok e Instagram. È il modo del fashion director del film di raccontarci qualcosa del personaggio: non ha più bisogno di pregare per l’attenzione del suo capo, per emergere, per farsi notare. È lei il centro della scena.

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Il Diavolo veste Prada 2: tra Tik Tok e fashion influencer
Vent’anni fa tutto era diverso: le redazioni decidevano, le boutique eseguivano, il pubblico aspettava il numero di settembre. L’alta moda era un altare: irraggiungibile, patinata, chiusa tra le pagine di Vogue e le sale silenziose degli atelier. Le collezioni si presentavano con sfilate esclusive, le tendenze si decidevano nei redazionali. I look non si scrollavano, si sfogliavano. Nessuno diceva “drop”, nessuno chiedeva il prezzo nei commenti, e il Met Gala era ancora un evento per pochi intimi (con Anna Wintour al centro come una divinità templare). La moda era cultura verticale, e chi la deteneva parlava ex cathedra.
Tra Labubu e Met Gala
Oggi l’alta moda è diventata archivio, virale, remixabile. Le it girl hanno cambiato ben più di 19 nomi in altrettanti anni e i trend nascono su TikTok. La Gen Z riscrive i codici con il suo Y2K filtrato e sostenibile, e il power dressing è ibrido, fatto di crocs con blazer oversize e orsetti Balenciaga. Per non dimenticare i Labubu appesi alle Birkin di Hèrmes. Il Met Gala è diventato uno show globale, giudicato in tempo reale da milioni di utenti. La moda non è più una stanza chiusa. È un flusso continuo, dove l’autorevolezza si misura in like, ma anche nella capacità di rimanere rilevanti senza svendersi. Miranda questo lo sa. Non lo approva del tutto, ma lo sa.

That’s all. Forse.
Il Diavolo Veste Prada 2 non è quindi solo un sequel, è uno specchio. Il riflesso lucidissimo, smaltato e griffato di come siamo cambiati. La moda non è più la stessa, ma nemmeno noi lo siamo. Che ci piaccia o no, abbiamo imparato che si può esercitare potere anche con un paio di sneakers e un commento sarcastico in calce a un video virale. Che l’eleganza non urla, ma si riconosce. E che Miranda Priestly, anche in un mondo di algoritmi e capsule sostenibili, è ancora capace di farci tremare con un solo sguardo. Alla fine, forse, il Diavolo veste ancora Prada. Ma ora scrolla anche Instagram.
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