L’impatto della comunicazione politica sul dibattito pubblico italiano in merito alle proteste per la Global Sumud Flotilla e il conflitto di Gaza.
Lo scontro politico non si limita ai fatti, ma si gioca anche nel modo in cui vengono raccontati. Recentemente, le manifestazioni di protesta in tutta Italia a sostegno della Global Sumud Flotilla hanno evidenziato come la narrazione degli eventi possa influenzare profondamente il dibattito pubblico, orientando l’opinione delle persone verso determinate posizioni o, al contrario, allontanandole da esse.
Questi eventi dimostrano quanto il piano narrativo rivesta un ruolo cruciale nell’indirizzare l’opinione pubblica verso una specifica interpretazione dei fatti, poiché non si limita a riportare gli eventi, ma ne definisce il significato. La scelta di come rappresentare i protagonisti e gli antagonisti, e di quali aspetti della vicenda enfatizzare o ridimensionare, diventa perciò fondamentale per guidare le emozioni, suscitare empatia o creare distanza, e costruire schemi interpretativi capaci di influenzare il modo in cui le persone percepiscono le situazioni. In questo modo, il racconto non solo informa, ma plasma atteggiamenti, opinioni e comportamenti, incidendo in modo significativo sui processi collettivi.
Le manifestazioni Pro-Palestina: da Gaza alle piazze, le strategie comunicative
L’arresto degli equipaggi delle 44 imbarcazioni della Global Sumud Flotilla, avvenuto a circa 70 miglia da Gaza ad opera della marina israeliana, ha scatenato accese polemiche nel nostro Paese. La Flotilla era impegnata in una missione umanitaria volta a consegnare beni di prima necessità alla popolazione palestinese, stremata da due anni di conflitto che hanno causato circa 65.000 morti e oltre 165.000 feriti. Queste controversie hanno innescato numerose manifestazioni di protesta a sostegno degli equipaggi, culminate il 4 ottobre in una grande manifestazione nazionale a Roma, che ha visto la partecipazione di oltre un milione di persone provenienti da tutta Italia.
Guardando indietro nel tempo, alcuni osservatori più navigati hanno paragonato queste mobilitazioni ad altri eventi storici di portata internazionale, come le proteste del 1967-68 contro la guerra del Vietnam e, più recentemente, quelle nate in opposizione all’invasione dell’Iraq nel 2003, soprattutto per l’ampio sostegno popolare che hanno suscitato. Si è trattato, infatti, di una reazione collettiva, in parte spontanea, che ha affollato le piazze in segno di protesta contro lo Stato di Israele e in solidarietà con il popolo palestinese. La massiccia partecipazione ha trasformato le strade in spazi di espressione civile, dove dissenso e indignazione si sono manifestati con forza e convinzione.
La costruzione del clima di sospetto e paura della politica
Ancora una volta, le mobilitazioni cittadine hanno dimostrato la loro capacità di incidere sul dibattito pubblico, portando all’attenzione globale temi cruciali di giustizia e solidarietà internazionale. Questo risultato è stato ottenuto nonostante i tentativi del governo di ostacolare tali iniziative fin dall’inizio e, successivamente, di isolarle una volta fallito il tentativo iniziale.
“Chiederemo una cauzione a chi organizza cortei e manifestazioni. In caso di danni, pagheranno di tasca loro”, riferendosi a chi assalta stazioni e blocca porti, e sottolineando le conseguenze che gli scioperi hanno sui “lavoratori italiani che rimangono a piedi, e sulle decine di poliziotti feriti”. Così ha attaccato il Ministro Salvini prima e durante le manifestazioni di questi giorni. Sebbene garantito dalla Costituzione, lo sciopero viene quindi presentato dal Ministro come un gesto potenzialmente dannoso, al punto da spingere l’opinione pubblica a vederlo non più come strumento di partecipazione democratica, ma come fonte di disturbo da evitare.
In buona sostanza, Il governo ha creato una narrazione opposta a quella popolare sulla partecipazione in piazza, al fine di complicare la percezione delle mobilitazioni. Aumentare la percezione di pericolo, delegittimare le manifestazioni, ridurre il consenso e isolare i sostenitori della causa palestinese, l’obbiettivo primario.

Lo stato di agitazione permanente e il caos narrativo
La campagna di comunicazione ha in parte raggiunto il suo obiettivo di trasformare l’immaginario collettivo delle manifestazioni da espressione democratica a problema di sicurezza. Ciò ha generato reazioni polarizzate. Da un lato, critiche sui disagi e i rischi per l’ordine pubblico. Dall’altro, la difesa del diritto di manifestare solidarietà verso i palestinesi e denunciare le violazioni dei diritti umani.
In questo contesto, le dichiarazioni rilasciate dai membri della maggioranza, sia ai media che sui social, non si limitano a esporre i fatti. Al contrario, esse fungono da strumento strategico per influenzare l’opinione pubblica e mitigare il potenziale impatto politico delle mobilitazioni. Un chiaro esempio è fornito dalle parole di Salvini in merito allo sciopero nazionale del 4 ottobre: “La Commissione di Garanzia tutela sia chi vuole scioperare, sia la stragrande maggioranza di persone che vogliono andare a lavorare“. Questa posizione si è focalizzata primariamente sulla presunta illegittimità dell’iniziativa, con l’intento di screditarla tramite argomentazioni legali, data la nota sensibilità del pubblico verso tali questioni.
“Da ministro dei Trasporti” – ha continuato Salvini – “farò tutto il possibile per garantire che in Italia non succeda il caos. Poi, se qualcuno lo farà comunque, aggredirà, bloccherà, ne pagherà penalmente le conseguenze”. Con queste parole, ha sottolineato le conseguenze pratiche dello sciopero, richiamando l’attenzione sui possibili disagi per cittadini e attività economiche. In questo modo, costruisce una narrativa in cui si presenta come difensore degli interessi della collettività. Rafforzando di fatto la sua immagine di garante dell’ordine e della sicurezza.
I manifestanti: da pacifisti a delinquenti?
I disordini evocati da Salvini si sono verificati in diverse città, talvolta degenerando in episodi di vera e propria violenza. In città come Milano, Torino e Bologna, le mobilitazioni si sono trasformate in episodi di guerriglia da parte di frange minoritarie, con scontri tra manifestanti armati e a volto coperto con le forze dell’ordine. Sebbene marginali rispetto al carattere prevalentemente pacifico delle manifestazioni, questi episodi hanno ricevuto un’attenzione mediatica rilevante, alimentando ulteriormente la divisione nell’opinione pubblica già spaccata sul conflitto a Gaza.
Sulla vicenda è intervenuta anche la premier, Giorgia Meloni, che sui social ha affermato: “Violenze e distruzioni che nulla hanno a che vedere con la solidarietà e che non cambieranno di una virgola la vita delle persone a Gaza, ma avranno conseguenze concrete per i cittadini italiani. Cittadini che finiranno per subire e pagare i danni provocati da questi teppisti”.
Tali dichiarazioni mirano a delegittimare i manifestanti, associandoli a termini quali “violenze” e “distruzioni”. In questo modo, la leader di Fratelli d’Italia innalza il livello di scontro, rafforzando l’immagine degli antagonisti e costruendo una narrazione in cui le proteste appaiono pericolose e prive di legittimità. Pertanto, l’attenzione si sposta dall’obiettivo della mobilitazione ai danni concreti provocati ai cittadini italiani, accentuando il senso di rischio e disordine delle proteste.
“Delinquenti che si professano pacifisti”
All’interno di questo quadro narrativo, si creano così le condizioni ideali per le dichiarazioni del presidente del Senato, Ignazio La Russa, che ha parlato di “Delinquenti che si professano pacifisti ma che in realtà stanno dando vita a vergognose guerriglie urbane”. Con queste parole, il profilo dei partecipanti viene trasformato da cittadini che protestano in veri e propri criminali, utilizzando etichette forti che suscitano riprovazione morale immediata e li presentano come facinorosi interessati solo allo scontro fisico.
Se poi a questo aggiungiamo alcuni cori e striscioni contro lo Stato di Israele, ecco servita la strategia comunicativa della destra di governo che mira a delegittimare le mobilitazioni attraverso i vari canali di comunicazione per generare disapprovazione sociale verso i manifestanti.
Due pesi e due misure: la condanna della violenza
La sinistra ha invece accusato la maggioranza di aver dipinto i manifestanti pro Gaza come violenti e irragionevoli, pronti a distruggere, mentre le azioni letali e sistematiche di Israele sono state presentate come necessarie per sicurezza e ordine. Senza ricevere condanne. Per mettere in difficoltà il governo, l’opposizione ha sfruttato le dichiarazioni del Ministro degli Esteri Antonio Tajani, il quale, intervistato a Porta a Porta sulla legittimità di un’operazione in acque internazionali, ha ammesso che il blocco costituisce “una violazione del diritto”.
Ma, nella medesima trasmissione, ha prontamente aggiunto che “quello che dice il diritto è importante fino a un certo punto“. In riassunto, almeno per il Ministro Tajani, sebbene il diritto internazionale stabilisca regole comuni tra gli Stati, nella pratica chi detiene maggiore forza politica o militare può spesso ignorarle, giustificando le proprie azioni con ragioni strategiche.
L’opposizione ha presentato ogni dimostrazione di protesta non come un semplice evento di dissenso, ma come l’unico strumento in grado di accendere i riflettori sul genocidio in atto a Gaza, rispetto al quale il governo si è mostrato incapace di assumere una posizione chiara o, addirittura, complice delle violazioni del diritto internazionale perpetrate da Israele.
Società civile contro l’inerzia del governo su Gaza
Sempre la sinistra vede i recenti cortei come più che semplici manifestazioni, bensì spazi dove cittadini e opposizione riaffermano valori condivisi, contrapponendosi al governo. Elly Schlein – PD – ha dichiarato: “L’Italia è migliore di chi la governa“. Una strategia comunicativa chiara e diretta, Schlein mette in luce come i cittadini possano assumere un ruolo attivo, sostituendosi ai propri rappresentanti nel guidare la società civile, quando le istituzioni adottano scelte sbagliate o non intendono dare seguito alla volontà popolare.
Anche il presidente del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte, ha voluto prendere posizione in occasione delle manifestazioni pro Gaza, sottolineando l’importanza di sostenere chi si mobilita per valori condivisi. Su X ha condiviso un’immagine di un cartello in inglese con scritto “Il vostro silenzio sarà studiato dai vostri nipoti”, per poi aggiungere: “È bello essere al loro fianco. Rompere questo silenzio insieme. È l’Italia migliore”. Riprendendo il contenuto morale del messaggio mostrato dai manifestanti, l’ex presidente del Consiglio non si è limitato a commentare la situazione, ma si è schierato accanto ai cittadini, adottando espressioni come “al loro fianco” e “insieme” per trasmettere un forte senso di vicinanza emotiva, volto a incoraggiare le persone a compiere un’azione moralmente giusta.

Cittadini protagonisti contro l’inerzia del governo schierato
A spiegare le ragioni del silenzio e dell’apatia mostrata dalla maggioranza di governo ci ha pensato il portavoce di Europa Verde, Angelo Bonelli. Intervistato da Il Manifesto, Bonelli ha dichiarato: “Sulla politica estera la premier rompe i rapporti con il paese perché ha fatto un calcolo politico sbagliato. Noi dipendiamo tecnicamente da Israele per la cybersicurezza. Dall’altra parte, Trump aiuta Meloni a rafforzare i rapporti di potere. Ma me la ricordo quando diceva Palestina libera. Meloni rompe con il paese non soltanto sul piano politico, perde anche l’empatia con gli italiani. E questo la preoccupa”.
Secondo Bonelli, questa inerzia non è casuale: il governo tollera i crimini di guerra di Israele, dimostrando una preoccupante sudditanza politica a livello internazionale. L’attacco evidenzia così la volontarietà del governo nel demonizzare iniziative come la Flotilla e le proteste, sottolineando come questa condotta sia guidata da interessi politici e strategici che divergono da quelli della popolazione.

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I manifestanti non scendono in piazza per interesse politico, ma mossi da un senso morale
Il leader di Sinistra Italiana, Nicola Fratoianni, rafforza il messaggio attraverso una storia Instagram: “In piazza ancora una volta insieme ad una sterminata marea umana della dignità e dell’indignazione contro il genocidio in atto a Gaza. Contro chi non ha fatto nulla quando poteva farlo come il nostro governo. E a Tajani che parla dei cattivi maestri in parlamento vorrei dirgli pensi ai cattivi governi come quello di cui lui fa parte”. Evocando l’immagine di un’imponente massa indignata, il messaggio social di Fratoianni sottolinea che i manifestanti non scendono in piazza per interesse politico, ma mossi da un senso morale di responsabilità, volto a difendere principi universali come il rispetto della vita e dei diritti umani.
I popoli in lotta scrivono la storia della politica
In questo contesto, attivisti e militanti extraparlamentari emergono come difensori dei diritti umani, assumendo responsabilità governative trascurate per interessi diversi. Convinti della giustezza della loro causa e della necessità di esprimere il proprio dissenso nei confronti di quanto accade a Gaza, manifestanti a volto scoperto hanno bloccato pacificamente stazioni e raccordi autostradali. Hanno previsto e accettato le cariche di alleggerimento della polizia, considerandole insignificanti rispetto al genocidio in Palestina.
Mossi da un profondo senso di responsabilità, hanno compiuto azioni simboliche per scuotere le coscienze. Incoraggiare un contributo concreto alla causa palestinese e della Striscia di Gaza. Le loro iniziative hanno così rafforzato una narrativa che esalta il coraggio civico e l’impegno contro le ingiustizie. Consolidando così l’immagine di chi è dalla parte “giusta” della storia agli occhi di parte dell’opinione pubblica.
Nella società attuale, le persone sono guidate da emozioni, bisogni e identità personali, non più da ideologie forti. La comunicazione, attraverso messaggi mirati, influenza percezioni e comportamenti, usando fatti reali per creare coinvolgimento emotivo. Il messaggio non è solo informazione, ma uno strumento per modellare comportamenti e identità. Capire queste strategie permette di vedere la politica come una lotta comunicativa, dove il controllo delle narrazioni contribuisce al successo di un gruppo.
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