Luc Besson fa suo il Conte Dracula, trasformandolo in un eroe romantico, che usa profumi e scambia Londra con Parigi. Una versione giocosa, kitsch e in fondo divertente, ma che snatura l’essenza del personaggio. In sala dal 29 ottobre.
In tempi di incertezza e cambiamento, i mostri tornano puntualmente ad albergare i nostri incubi. E i nostri schermi. I mostri cinematografici per eccellenza sono quelli classici, di cui i leader indiscussi sono Dracula e Frankenstein. Nel 2025, con il mondo che brucia, diverse guerre in atto, la rabbia sociale che cresce e l’intelligenza artificiale pronta a sostituirci, il cinema ha riscoperto l’amore per i mostri. Negli ultimi mesi abbiamo quindi avuto Nosferatu di Robert Eggers, Frankenstein di Guillermo Del Toro e ora Dracula – L’amore perduto di Luc Besson. Quest’ultimo in sala il 29 ottobre, dopo l’anteprima alla Festa del Cinema di Roma.

Il ritorno dei mostri
Non è finita: arriverà presto anche una nuova Sposa di Frankenstein, interpretata da Jessie Buckley in La sposa! di Maggie Gyllenhaal (la creatura è invece stata affidata a Christian Bale). Per non parlare di tutti gli ottimi film horror che hanno segnato quest’annata cinematografica, dai vampiri dello splendido I peccatori di Ryan Coogler agli zombi di 28 anni dopo di Danny Boyle. I mostri non passano mai di moda perché sono una metafora potente: incarnano le nostre paure ed essendo dei simboli universali permettono di raccontare la società da un punto di vista sempre nuovo e originale.
Frankenstein, Dracula & Co: a ogni epoca il suo
Ogni epoca e ogni autore ha infatti la sua nuova versione di Frankenstein, degli zombi, dei vampiri. Per il suo Dracula Besson ha giocato in casa: via l’aspetto più gotico e macabro del personaggio, via Londra, sostituita con Parigi, via anche il servo Renfield, che lascia il posto alla vampira Maria di Matilda De Angelis (fusione dell’aiutante del Conte e di Lucy). Caleb Landry Jones, già protagonista di Dogman, ritrova il regista francese ed è un principe di Valacchia estremamente romantico. Combatte come un samurai, ma tutto ciò che gli interessa è la sua amatissima moglie: Elisabeta (Zoë Bleu), che gli viene strappata prematuramente. Da quel momento in poi il suo unico scopo è ritrovarla. Anche a costo di rinnegare Dio e aspettare 400 anni.

Finalmente Frankenstein: Del Toro regala al mondo il suo mostro più amato
Guillermo Del Toro ha finalmente realizzato il film che ha inseguito per tutta la vita: il suo Frankenstein parte dal libro di Mary Shelly, ma parla del mondo contemporaneo. Su Netflix dal 7 novembre. di Valentina Ariete
Il Dracula di Besson è kitsch e romantico
Reincarnazioni, trucco, costumi e armature sono “citazioni” palesi: Besson ha molto ben presente il lavoro fatto da Francis Ford Coppola con Dracula di Bram Stoker (1992). Che, diciamolo apertamente, anche se il titolo prova a dissimulare, ha tradito in modo spudorato il romanzo dell’autore irlandese. Il romanticismo del personaggio interpretato all’epoca da Gary Oldman appartiene infatti molto più ai suoi adattamenti cinematografici che non al materiale letterario di partenza. Quindi non ci si dovrebbe stupire del fatto che Besson si sia allontanato ulteriormente dall’originale. In un tripudio di scenografie, oggetti e abiti opulenti, il regista esagera tutto.

Le concessioni glamour di Besson
Questo Dracula non seduce le donne con il potere dello sguardo, ma con un profumo creato dopo cento anni di ricerche, andando a scovare le materie prime più pregiate tra India, Francia e Italia. Più che il sangue e la fornicazione di gruppo (che comunque non manca) gli interessa l’unione totale, fisica e spirituale, con il suo unico grande amore. Insomma un eroe tragico e innamorato, che ci fa simpatia per gran parte del film, anche quando tutto diventa più o meno involontariamente comico (pensiamo alla sequenza della finestra, quella dei balli di corte e quella con le suore).
Anzi, ci sbilanciamo: lo spirito giocoso di Besson, quasi un bambino in un negozio di caramelle, che si riempie la bocca di ogni gusto possibile, mettendo in mezzo anche degli inspiegabili aiutanti gargoyles (realizzati con una computer grafica pessima), ci fa molta simpatia. È sempre bello vedere un autore che osa, sperimenta, si diverte. Il buon cast, che comprende anche il premio Oscar Christoph Waltz nel ruolo di un prete (che ha chiaramente la funzione di Van Helsing) e la colonna sonora firmata da Danny Elfman (anche se meno ispirato del solito) ci stava per far chiudere un occhio sugli elementi più kitsch e il saccheggio dell’immaginario di Coppola. Poi però è arrivato il finale. Che cambia tutto.

Luc Besson tradisce lo spirito del personaggio
Non possiamo rivelare troppo del finale, ma diciamo che, oltre alla lobby dei profumi, che apprezzerà sicuramente questo “Dracula profumiere” attentissimo alle materie prime di qualità, anche la Chiesa Cattolica sarà sicuramente soddisfatta. La maledizione del Conte, ovvero l’essere trasformato in un vampiro, arriva quando rinnega Dio in seguito alla perdita della moglie (e qua siamo ancora nel segno di Coppola). Poi però c’è un ripensamento: diciamo che, per amore, il principe delle tenebre è pronto a ritrovare la fede, sacrificarsi, riabbracciare Dio. Non a caso Waltz è chiamato a interpretare un Van Helsing che non ha questo nome e non è né un professore specializzato nell’occulto, né un cacciatore di vampiri armato fino ai denti, ma un prete, appunto.
Qui Besson ci ha totalmente perso. Di più, ci ha profondamente irritato: sarebbe stato meglio portare la sua visione pop, erotica e godereccia all’estremo, invece che tornare indietro e pentirsi, snaturando completamente l’essenza di un personaggio che non si piega mai né di fronte a Dio né a nessun altro. Così il male non soltanto non fa più paura, ma diventa anche ridicolo.
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