La 70esima dei David di Donatello edizione ha messo in evidenza i contrasti del settore: il cinema italiano è in crisi, ma, in mezzo all’incertezza, quest’anno sono nati molti nuovi talenti. E Maura Delpero segna una vittoria storica: è la prima regista a vincere.
Lo spettacolo oltre la cerimonia: qualcosa non quadra
La faccia di Nanni Moretti durante la cerimonia ha detto tutto: il cinema italiano, come sempre, vive di grandi contraddizioni. Se è vero, come ha affermato Piera Detassis, presidente e direttore artistico dei Premi David, che questi sono i “nostri Oscar”, diciamo che, per quanto riguarda lo spettacolo, ne abbiamo ancora di strada da fare.

A presentare quest’anno c’erano Mika ed Elena Sofia Ricci. Hanno preso il posto di Carlo Conti, a cui bisognerebbe chiedere scusa: almeno lui avrebbe rispettato i tempi. La serata invece è stata gestita senza senso. Lungaggini inutili, ordine dei premi stilato a caso, Sean Baker, regista di Anora, scelto come miglior film internazionale, costretto ad aspettare fino all’una di notte per salire sul palco. Salvo poi invitarlo a sbrigarsi nel momento dei ringraziamenti. Il connazionale Timothée Chalamet, a cui è stato dato un non meglio precisato e generico “David Speciale” (gli altri premiati sono stati il Presidente Sergio Mattarella, Ornella Muti e Giuseppe Tornatore, ndr), si è ben guardato dall’attendere fino alla fine.
David di Donatello: l’appello alla politica
Oltre alla serata in sé, c’è poi il punto sulla crisi economica. A dargli voce Pupi Avati, premiato alla carriera, che ormai, a 86 anni, giustamente non si tiene più nulla. “Cinema Revolution è carina. Ma servono ulteriori azioni” ha detto, alludendo all’iniziativa promossa dal Ministero della Cultura, che permette di vedere film in sala a 3,50 euro nel periodo estivo, a giugno e settembre. Continuando poi: “La cosa più bella sarebbe se la segretaria del Pd Schlein telefonasse alla premier Meloni e chiedesse di parlare insieme anche con il ministro dell’Economia Giorgetti del cinema italiano”.
Ovviamente si è scatenato il putiferio, anche perché Schlein, la mattina dopo, ha risposto sui suoi social: “Caro Pupi, io ci sto!”.

In questo caos, sono emersi però due fatti interessanti. Il primo è che Maura Delpero, autrice di Vermiglio, già celebrato a Venezia 2024 con il Gran premio della giuria e candidato italiano agli Oscar 2025 come miglior film internazionale, è la prima regista donna ad aver vinto il David per la Miglior regia. Sì, in 70 anni, lei è la prima. Non una media invidiabile, ma lo possiamo prendere come segno di una maggior apertura (e offerta di possibilità) dell’industria verso le donne.
Insolia, Dalla Porta, Gheghi: le star di domani
Il secondo è che, finalmente, dopo anni di red carpet solcati dalle solite facce (“il circolino”, come direbbe qualcuno), sono emersi tanti volti e talenti nuovi. Tutto a cominciare dalla bravissima, intelligentissima e bellissima (è tutta issima) Tecla Insolia, miglior attrice protagonista per L’arte della gioia di Valeria Golino. Poi Celeste Dalla Porta, la Parthenope di Paolo Sorrentino (che non si è nemmeno presentato alla serata e ha fatto bene: su 15 nomination il film non ha vinto nulla), e Francesco Gheghi, candidato come migliore attore protagonista per Familia, che non ha ottenuto la statuetta. Come consolazione, presto lo vedremo ovunque, perché è davvero bravo.
Infine anche Margherita Vicario: con il suo film d’esordio, Gloria!, si è portata a casa il riconoscimento alla Miglior Regista Esordiente.

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Insomma, come spesso accade, quando un settore è in crisi e i soldi scarseggiano, a emergere sono i giovani e le donne. Perché sono sempre pronti a rischiare e a giocarsi tutto, visto che spesso le occasioni se le devono conquistare con fatica maggiore. Speriamo sia davvero il segno di un futuro più fresco e sorprendente per il nostro cinema.
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