Diamo a Carrie quel che è di Carrie: a fine anni ’90 ha rivoluzionato la televisione. E non soltanto grazie ai suoi vestiti e – soprattutto – alle innumerevoli scarpe dal tacco altissimo. Le avventure di questa giornalista trentenne newyorchese hanno permesso al pubblico di scoprire finalmente il punto di vista delle donne sul sesso. Sex & The City, creata da Darren Star a partire dall’omonimo romanzo di Candace Bushnell, lo ha fatto mettendo al centro di tutto un’idea fondamentale: un gruppo di amiche che si confrontano raccontandosi le proprie esperienze. Oggi sembra una cosa scontata, ma quasi 30 anni fa non era affatto così.
Sex and The City: la rivoluzione
Già il sesso in sé è (ancora oggi) un tabù, la sessualità femminile poi è praticamente una creatura mitologica. Figuriamoci parlarne in tv! La serie ha quindi rotto una barriera. E, più o meno consapevolmente, è diventata non soltanto un fenomeno pop, ma anche un argomento di discussione politica. Certo, la moda e la bellezza di New York hanno preso il sopravvento, portando alla creazione di tour lungo i luoghi iconici della serie e una ricerca spasmodica di tutti gli abiti e accessori indossati dalle protagoniste (la stessa Sarah Jessica Parker, interprete di Carrie, ha creato una linea di scarpe cavalcando l’onda del successo di Sex & The City). Ma questo non toglie che sia stata rivoluzionaria.
Conclusa nel 2004, dopo sei stagioni, Carrie, Miranda e Charlotte (non Samantha: Kim Cattrall si è rifiutata di partecipare al sequel, tranne un brevissimo cameo) sono tornate sugli schermi nel 2021. In And just like that…, le ritroviamo ancora in carriera, alla moda e amiche. La magia però si è persa e in questa terza stagione, dal 30 maggio su Sky e NOW, è ancora più evidente. Dopo un prequel, The Carrie Diaries, tre film e questo sequel, forse è ora di dire addio alle amiche di New York.

Sempre più city e meno sex
Se nella serie madre Carrie e le altre affrontavano le relazioni nei loro 30 anni, qui lo fanno nel passaggio tra i 50 e i 60. Inutile dire che senza Samantha tutto è diventato sempre più city e meno sex, ma il declino della serie non è dovuto soltanto al minor numero di relazioni. A più di 20 anni dall’esordio, gli autori si sono resi conto di doversi aggiornare ai tempi. Rivedendole oggi le puntate di inizio anni 2000 presentano infatti cose che adesso ci fanno storcere il naso. Le protagoniste sono di un classismo abbastanza sconvolgente, i personaggi non bianchi sono pochissimi e alcune battute non fanno più ridere. È normale: nel frattempo la società è cambiata ed è cresciuta tutta una nuova generazione con riferimenti culturali diversi.
Al passo con i tempi…ma con un’andatura goffa

Il tentativo di essere al passo con i tempi però è piuttosto goffo. Miranda (Cynthia Nixon) si è scoperta improvvisamente gay e sono state introdotte ben due nuove amiche, Seema Patel e Lisa Todd Wexley, interpretate rispettivamente da un’attrice inglese di origini indiane, Sarita Choudhury, e una afroamericana, Nicole Ari Parker. Ma se la prima si relaziona più spesso con le tre protagoniste, la seconda praticamente vive un arco narrativo parallelo, isolato. A eccezione di qualche sporadico contatto con Charlotte. Ci si chiede quindi quale sia il suo ruolo nella serie, se non quello di fungere da “token” e rubare tempo alle storie dei personaggi che il pubblico ama e conosce di più.
Purtroppo gli autori hanno fatto un errore madornale: dividere sempre di più le protagoniste. Se, come dicevamo, la forza di Sex & The City era proprio il dialogo e il confronto costante tra Carrie, Charlotte, Miranda e Samantha, in And just like that… ognuna di loro si muove lungo un binario solitario. Questo rende la storia molto frammentata e meno divertente. Per non parlare poi degli outfit, sempre più esagerati e assurdi, con una Carrie che si ostina a voler camminare in casa con i tacchi, rivendicandoli come parte della propria identità, anche quando il vicino di casa che vive al piano di sotto la supplica di toglierseli (ma chi, sano di mente, a qualsiasi età, camminerebbe in casa con i tacchi?!).
L’involuzione di Carrie

Un altro grande problema di questo sequel è l’involuzione dei personaggi, soprattutto di Carrie. Il passare del tempo non c’entra nulla. Proprio come Tom Cruise che, a più di 60 anni, ancora tiene botta come Ethan Hunt nella saga di Mission Impossible, Sarah Jessica Parker è ancora perfettamente credibile come icona di moda e lifestyle. Il dramma è che il personaggio non è cresciuto. Anzi, sembra essere diventato ancora più infantile rispetto a quando aveva 30 anni. Le sue uniche preoccupazioni sono ancora i tacchi. O tenersi ben stretti il suo yogurt e la sua Coca Cola, che non vuole condividere con gli altri. Non vogliamo nemmeno parlare del ritorno di Aidan (John Corbett), personaggio che era già improponibile 20 anni fa, come suo compagno. Ovviamente però anche lui vive a distanza, in una fattoria.
Dispiace dirlo, ma ormai Carrie è una ricca signora egocentrica, che ha perso completamente il contatto con la realtà. E vive perennemente in una sfilata di moda. Che se a inizio anni 2000 era una cosa che faceva sognare tutte le persone che non vivevano a New York e non potevano permettersi quegli abiti da sogno, oggi mette quasi tristezza. Quando non è profondamente irritante.

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Tranne la Charlotte di Kristin Davis, l’unica con un rapporto sano con marito, figli e conoscenti, che si è evoluta ed è cambiata di più, arrivando anche a dei compromessi, tutto il resto è diventato una parodia dei bei tempi che furono. Siccome, nonostante tutto, vogliamo ancora bene alle ragazze come fossero nostre amiche, vogliamo dare loro un consiglio: forse è tempo di salutarci.
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