La Carbonara non si tocca, nessuna provocazione gourmet, nessuna reinvenzione modaiola, bensì una vera e propria variante storica del celebre piatto della cucina romana rimasta nell’ombra, fino ad oggi: la Carbonara Rimaritata.
A Roma la Carbonara “nun se tocca”… ma questa è una famigerata storia, un incredibile ritrovamento, una scoperta sorprendente destinata a far parlare. Perché chiunque viva nella Capitale lo sa: la Carbonara è materia sacra, si difende come una bandiera e non si discute, come un’incrollabile fede. Eppure, tra le pieghe della storia gastronomica laziale, si nasconde una variante antica quanto dimenticata, che non la stravolge ma anzi, l’arricchisce: si chiama “Carbonara Rimaritata”, remaritata in dialetto.
Carbonara Maritata, una versione pastorale e montana
Nessuna provocazione gourmet, nessuna reinvenzione modaiola. Una vera e propria variante storica della carbonara. Ebbene si. Una versione pastorale e montana, ricetta legittima del Lazio interno nella quale all’immancabile guanciale, si aggiunge un ingrediente rustico quanto nobile: la salsiccia di fegato, simbolo di una tradizione fatta di transumanze, allevamenti, salumi da conservazione e cucina più di sostanza che di orto.
Piatti di una cucina necessariamente corroborante, cresciuta lungo i tratturi, tra le alture di Amatrice e le montagne dell’Appennino centrale, dove l’uomo e la difficile terra hanno imparato a sostenersi a vicenda, lì dove il maiale è sempre stato una vera e propria riserva di vita per l’inverno.
“Amatrice vive di dogmi e di Amatriciana – racconta Fabrizio Berardi, memoria storica della famiglia alla guida da oltre cinquant’anni del Villaggio Turistico – Ristorante Lo Scoiattolo ad Amatrice (RI) – ma la Carbonara, è l’altro totem della tavola del centro Italia. E va toccata con rispetto, perché è materia delicata, pronta ad accendere gli animi”.

Dalla tradizione di montagna, povera e sapiente, nasce la Carbonara Rimaritata
“La Carbonara Rimaritata esiste da sempre da queste parti. – continua Berardi – Quando le famiglie lavoravano il maiale, del quale davvero “non si buttava via nulla”, e un pò di impasto delle salsicce, anche quelle di fegato, finiva sul pane caldo o dentro la carbonara”.
“Era il tempo de “lu picone” – ovvero il rito collettivo della lavorazione del maiale – che ad Amatrice coincideva con i giorni attorno all’Immacolata: un momento di grande importanza per rinsaldare i rapporti, dove la comunità si riuniva per condividere lavoro artigiano, storie e scorte alimentari. Ogni famiglia aveva la propria miscela di sale, pepe e spezie, tramandata di generazione in generazione. Di solito era la nonna la depositaria del gusto da rispettare, quella che decideva se il macinato era giusto di sapidità e aroma. E in ogni casa cambiava qualcosa.”
Da quella tradizione di montagna, povera e sapiente, nasce la Carbonara Rimaritata o “sbagliata”, come la chiamava Fabrizio servendola alle affollate tavole de “Lo Scoiattolo” dove alcuni avventori si recavano appositamente per assaggiare quella versione di carbonara più scura, intensa e affumicata.
“È un piatto che racconta un pezzo di noi – continua Berardi – perché in montagna come in transumanza non c’era spreco, e anche la Carbonara diventava più ricca di sapore ed energia. È la testimonianza di cucina di memoria e necessità.”
Osterie Resistenti: quando Slow Food incontra Roma
Questa famigerata storia è tornata in grande forma alla tavola del Ristorante Taverna Cestia dal 1967 di Roma, durante la cena–evento “Osterie Resistenti: Slow Food incontra Taverna Cestia”, una vera stretta di mano tra mondi che condividono la stessa radice: quello di un’insegna storica romana e quello delle comunità Slow Food, da sempre custodi delle tradizioni autentiche e dei presìdi che le difendono, piatto dopo piatto.
Tra gli ospiti, Remo Berardi, sesta generazione alla guida del Salumificio Berardi (Poggio Cancelli, AQ), produttore di una straordinaria salsiccia di fegato, presidio Slow Food. Una produzione raro, figlia di una terra di mezzo reatina-aquilana (della quale racconteremo in modo approfondito più avanti), realizzata con fegato nero e ventresca, aromatizzata secondo gli antichi dettami e affumicata al camino, come si faceva un tempo, quando il fumo serviva più a proteggere che a profumare.

La Carbonara Rimaritata, unisce Roma e la montagna
L’evento “Osterie Resistenti”, ha proposto un percorso per far dialogare territori e cucine lontani tra loro ma uniti dal medesimo sentimento. Guidati dallo chef Paolo Sirianni, nuovo timoniere ai “fornelli cestii”, affiancato dal patron Valerio Salvi, sommelier e custode di uno dei ristoranti più longevi della città, nel menù costruito ad hoc per l’evento, hanno deciso di riportare la luce sulla Carbonara Rimaritata, dimostrando ancora una volta che la memoria gastronomica non è un archivio, ma materia viva.

E arriva in tavola così, luminosa, spavalda e protagonista, con la potenza di un racconto che non ha bisogno di invenzione. Come da manuale reatino, al guanciale, simbolo della romanità, in cottura qui si affianca la salsiccia di fegato che, con le sue tonalità ferrose e penetranti, dolci e aromatiche, affumicata al camino, si fonde all’uovo e al pecorino creando un amalgama più intenso, un sapore profondo, con una nota aromatica antica che sa di brace e montagna.
Un piatto che non divide ma unisce il Lazio urbano a quello pastorale, la città alla terra, Roma alla sua storia pastorale. Per chi volesse provare questa versione sconosciuta e godereccia, la Carbonara Rimaritata è in carta alla Taverna Cestia (indirizzo già presente nelle classifiche delle migliori carbonare di Roma) come variante storica della celebre sorella minore, ma con una voce tutta sua.

Polpette, una tira l’altra: tutto il gusto delle meatball in un libro
Meatball Family e Trenta Editore presentano il volume con un evento tra storia, aneddoti e assaggi per riscoprire il piatto più amato della tradizione italiana: le polpette. di Lorenzo Villa
Taverna Cestia e Slow Food: la romanità che esiste e resiste
“La serata per me è stata un traguardo – uno dei tanti, e uno dei molti che ancora verranno. L’ho voluta con convinzione, anche grazie all’aiuto dell’amico Andrea Petrini, organizzatore dell’evento. La stima per il lavoro di Slow Food è profonda, così come il piacere di poter dimostrare quanto la nostra filosofia culinaria sia affine alla loro: una cucina che rispetta la materia, i produttori e le stagioni.
Apprezzo in particolare il loro impegno nella valorizzazione delle aziende vinicole artigiane, spesso piccole ma straordinarie. Molte di quelle che propongo nella carta dei vini della Taverna sono presenti anche nella loro guida — segno che le strade, quando sono sincere, finiscono per incontrarsi.”
Racconta Valerio Salvi, sommelier e patron alla terza generazione della Taverna Cestia, che è molto più di un ristorante: una casa di sapori, un rifugio romano dove la tradizione non si esibisce, ma si custodisce.
E aggiunge: “La tradizione non è altro che un ricordo che non abbandona il passato, ma lo tiene stretto, come si fa con ciò che si ama davvero. Certi sapori, anche quando si rinnovano, non devono essere dimenticati: chiedono solo di continuare a esistere, di tornare a parlarci. Forse perché, in fondo, siamo noi adulti a desiderare di tornare bambini. E come ricordava un grande regista, “tutto è già stato fatto, noi dobbiamo solo farlo un po’ meglio.”
Oggi la Taverna Cestia di Roma vive un nuovo corso che tiene insieme tradizione e visione nelle maglie di una cucina che non rincorre la moda, ma ascolta la materia rispettando le storie di una civiltà gastronomica che resiste e non vuole ancora piegarsi alla fretta.
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