Ci sono cuochi – grandi cuochi – che con la pasta ripiena ci hanno scritto un trattato, un’epopea, un vero e proprio manifesto della cucina italiana. Hanno preso la tradizione, l’hanno valorizzata e l’hanno trasformata in una forma d’arte. Pensiamo a come la pasta ripiena, come i ravioli e i tortellini, non solo racchiuda sapori, ma racconti storie di culture regionali.
Ad esempio, i ravioli sono un simbolo della cucina ligure e si possono trovare in varianti che spaziano dal ripieno di carne a quello di pesce. Ogni regione ha la sua interpretazione, portando i commensali in un viaggio attraverso l’Italia, un boccone alla volta.
Poi ci sono altri cuochi. Grandi anche loro, a sentir loro, che spesso si raccontano come se appartenessero a un’epoca dorata ormai passata. Raccontano le loro conquiste con nostalgia, ma la cucina moderna richiede una nuova visione. Oggi, i cuochi devono affrontare sfide diverse: la sostenibilità, la salute, i conti e il benessere dei clienti. La leggerezza di un tempo deve essere accompagnata da una responsabilità che in passato non era così evidente. La cucina, quindi, diventa un campo di battaglia dove si confrontano innovazione e tradizione, e dove ogni scelta è sottoposta a scrutinio.

L’Italia ha bisogno di cuochi che cucinino
Si parla troppo e si cucina sempre meno, in cerca di quel riconoscimento che sembra sfuggire. Critici e media sono diventati un obiettivo strategico, mentre i veri valori culinari rischiano di perdersi. Le vere battaglie si svolgono nei ristoranti, dove i cuochi si sfidano a colpi di creatività e passione. Ma la cucina non dovrebbe essere solo competizione tra cuochi. Dovrebbe essere un modo per celebrare la convivialità e l’amore per il cibo. La vera bellezza della cucina risiede nel suo potere di unire le persone, di creare legami attraverso piatti che raccontano storie e tradizioni.
Di chef che parlano ne abbiamo avuti tanti, ma oggi servono cuochi che si sporcano le mani. Cuochi che non temono di tornare alle origini, di utilizzare ingredienti freschi e genuini per raccontare la storia del proprio territorio. In un mondo dove la tecnologia e i social media dominano, è fondamentale ritrovare il piacere della cucina tradizionale. Il cuoco deve creare un piatto che non dovrebbe essere solo un atto estetico, ma una modalità per connettersi con le proprie radici e con le persone che amiamo. La cucina è un linguaggio universale che va al di là delle parole.

La vera sfida è abbracciare ciò che ci rende unici
Perché sì, forse non ci siamo ancora fatti capire come si deve. Siamo ancora là a farci giudicare da una guida francese – Michelin -, e da una classifica inglese – World’s 50 Best. Ma la vera sfida è abbracciare ciò che ci rende unici. Dobbiamo celebrare la nostra cultura culinaria, i nostri ingredienti e le nostre tradizioni. La cucina italiana è un tesoro che deve essere custodito e condiviso, non un motivo di confronto con altri paesi. L’arte di cucinare deve tornare a essere un atto di orgoglio e un modo per esprimere la nostra identità.
Ma se non altro, proviamoci. Facciamo la nostra parte. Crediamoci. E soprattutto, prima di parlare mettiamoci un cappelletto in bocca. I cuochi devono imparare a valorizzare ciò che fanno, a comunicare l’amore e la passione che mettono nei loro piatti. Meno autoreferenza, più sapori.

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Ogni cottura, ogni assaggio deve essere un momento di celebrazione, non di se stessi, ma della terra e del gusto. Solo così possiamo garantire che le future generazioni non solo conoscano la cucina italiana, ma la amino e la rispettino. La cucina è un patrimonio culturale che deve essere trasmesso, i cuochi sono i custodi di questo tesoro. Solo tornando alle origini e valorizzando i nostri piatti, potremo riscoprire l’autenticità e la bellezza della nostra tradizione culinaria. Meno parole, più cappelletti.
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