Il red carpet di Sounds of Fallen
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Cannes 2025: 6 film da seguire adesso. La corsa alla Palma è aperta

Dai parassiti coreani ai nuovi cenerentoli americani, Cannes continua a raccontare il mondo attraverso le sue ferite. Ecco i film da tenere d’occhio quest’anno.

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Come ogni anno a maggio, immerso nei colori pastello della costa azzurra primaverile, va in scena uno dei
festival più importanti e sfavillanti del cinema internazionale. Atteso, attesissimo, il Festival di Cannes non solo anima un red carpet ambitissimo di divismo vario, ma anche uno schermo altrettanto vivace. E soprattutto lascia che si avvicendino opere che dettano e detteranno legge all’interno del panorama cinematografico (autoriale, ma non solo) che verrà.

Cannes 2025: un inizio mainstream

E se in questa 78a edizione della prestigiosa kermesse francese l’apertura (fuori concorso) è stata in chiave decisamente mainstream con l’attesissima anteprima dell’ottavo e ultimo capitolo di Mission: Impossible ovvero The final reckoning (resa dei conti finale), le luci di proscenio son già tutte puntate sui papabili vincitori della Palma d’Oro di quest’anno, al netto delle solite insoddisfazioni e polemiche che, come da copione, arriveranno in scia al concorso. Eppure, anno dopo anno, edizione dopo edizione, il Festival di Cannes resta una lucida e inossidabile vetrina di analisi e identificazione dei film e trend migliori, trampolino di lancio e anche spia rivelatrice di certe tendenze o riflessioni che spiccano, più di altre, in un dato momento storico.

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Corsi e ricorsi storici

Per le motivazioni sovraesposte non è dunque un caso che, spesso, i film vincitori della Palma d’Oro a
Cannes diventino poi anche concorrenti e papabili vincitori del premio più ambito dell’intero universo
cinematografico, ovvero l’Oscar. E in quest’ultima manciata di anni (2019-2024, facendo eccezione per
l’anno 2020 in cui il festival non si è tenuto per via della pandemia), questa regola non ha subito variazioni
di sorta. Delineando altresì un trend sociale e culturale abbastanza interessante da seguire. Corsi e ricorsi
storici e declinazioni varie delle tematiche sociali, che restano i veri cavalli di battaglia nel cartellone di
Cannes.

Cinque anni in cinque film

Nel 2019, un anno mirabilis, che sembra avere in qualche modo fatto da spartiacque tra un mondo (pre-pandemia) e un altro (post-pandemia). A vincere la prestigiosa kermesse è stato Parasite del sudcoreano Bong Joon Ho. Disamina sociale a tratti horror sulle diseguaglianze sociali e sui loro confronti/scontri, che esponeva con chiarezza e forza dirompente il disagio radicato di chi vive in fondo alla scala. Spinto verso la complessità di una vita “parassitaria” da un’ordinaria necessità di sopravvivenza. Un tema, in verità, spesso trattato dai film coreani ma che grazie a Parasite (poi vincitore di ben 4 Oscar tra cui miglior film) veniva rilanciato internazionalmente. Giungendo poi intatto fino al cinema di oggi, sempre più interessato al discorso sociale e soprattutto alle maschere di una ricchezza spesso fondata sulla “povertà morale ed esistenziale”.

Una delle scene di Titane, vincitore al Festival 2024. (Foto Wikimedia Commons autore Utente:RedDead720)
Una delle scene di Titane, vincitore al Festival 2024. (Foto Wikimedia Commons autore Utente:RedDead720)

Nel 2021, il primo anno post-pandemia, ad avere la meglio sul concorso è stato un film divisivo, ampiamente dibattuto, e forse non del tutto – o da tutti – compreso. Titane, opera sperimentale dai tratti spiccatamente horror che nel suo essere controversa e in qualche modo “anomala”. Ha lanciato nel panorama cinematografico uno sguardo femminile potente e resistente, quello della giovane francese Julia Ducournau, regista atipica e innovativa, futuribile ed eversiva. Oggi la ritroviamo in concorso a Cannes con Alpha, opera che ancora una volta ruota attorno alla paura e alla trasfigurazione del vero, plasmandosi attraverso epidemie umane e concettuali.

Titane e lo sguardo femminile a Cannes

Il 2022 è, invece e di nuovo, l’anno dello svedese Ruben Ostlund. Voce autorevole del festival di Cannes dai
tempi di Force Majeure (e già vincitore della Palma nel 2017 con il graffiante The Square). Autore sempre
più incisivo e riconoscibile, Ruben Ostlund esce nuovamente trionfatore da Cannes 2022 con Triangle of
Sadness
(letteralmente, triangolo della tristezza). Un film disarmante e dissacrante, che sarà un po’ la cartina
al tornasole di un tema cinematografico oggi molto in auge.

Ovvero la disamina irriverente di una ricchezza fatta di benefit e vuote apparenze, sotto le quali si celano una povertà umana e morale senza precedenti, a tracciare un potente fil rouge ideologico anche con il coreano Parasite. Bulli e pupe di una società sempre più vuota, cinica, meschina, oscura, trasfigurata di senso, dove i contenuti hanno lasciato spazio ai soli contenitori. E dove i nuovi ricchi sono influencer e modelli di vita grigia “mordi e fuggi”. Elementi sagaci e mordaci di una critica feroce al nuovo mondo e al nuovo consumismo/capitalismo sociale. Un trend oggi attualissimo tanto al cinema quanto nel mondo della serialità.

Anatomia di una caduta, film vincitore a Cannes 2023
Una delle immagini promozionali di Anatomia di una caduta, vincitore nel 2023

Anatomia di una caduta: relazioni sotto autopsia

Nel 2023 il film francese Anatomia di una caduta, palma d’Oro a Cannes e poi anche Premio Oscar, si fa
portavoce di un’altra tematica sempre attuale e difficile da sviscerare. Il lato oscuro di una comune famiglia
infelice di tolstojana memoria viene qui vivisezionato in una sorta di esame autoptico delle relazioni. Qui a
perdere è sostanzialmente il valore della coppia e della famiglia. Che diventa un’entità che di fronte alla difficoltà e alle frizioni tendono a sgretolarsi lasciando solo vittime.

Un senso di distruzione acuto segna questo film di Justin Triet. Ritorna sulla tematica sociale ma da una prospettiva diversa, più femminile, eppure assai simile alla Force Majeure di Ruben Ostlund. In maniera incredibilmente simile, anche per gli scenari freddi e algidi che fanno da sfondo alle due opere, la valanga umana dell’incomprensione, della sfiducia e del sospetto viene tirata in ballo con grande lucidità. E notevole potere drammaturgico.

Le grandi polemiche di Cannes 2024: Anora

Film letteralmente di stacco con il Festival e con i trend generali, e per questo ampiamente criticato e
discusso, Anora vince Cannes 2024 (e poi anche l’Oscar). Lasciandosi dietro una densa scia di critiche e
contestazioni. Tacciato di essere troppo semplice, troppo superficiale, e anche poco adatto al concorso
francese, Anora è opera che ha invece rivelato la sorprendente peculiarità autoriale dello statunitense Sean
Baker. Ottimamente bilanciato nei suoi registri comico, drammatico, e grottesco, Anora ribalta e destruttura la parabola di Cenerentola. E finisce per farne uno spaccato drammatico sul realismo delle possibilità che la vita ci offre (o meno). Il realismo dell’oggi.

Anche qui, in realtà, il cuore del film sono le diseguaglianze sociali e la difficoltà (o impossibilità) di superarle o aggirarle con espedienti o stratagemmi, anche di ordine sentimentale. Ancora una volta, il grande divario sociale si misura nei margini della propria libertà, delle cose che si ha la possibilità di fare – o non fare. I ricchi piangono quelle stesse libertà che i poveri non hanno.

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Tempo di Palma d’Oro e nuovi bilanci

Famiglie in rotta di collisione, disuguaglianze sociali, senso di perdita e smarrimento generazionali sono dunque ciò che tende sempre a riemergere con vigore da questa prestigiosa vetrina. Ma chi si aggiudicherà
l’ambita palma quest’anno?
Le voci già si rincorrono fitte lungo i corridoi del Palais. Speciale attenzione
all’odissea mistica del regista franco-spagnolo Oliver Laxe (Sirat) e al dramma famigliare (Sentimental value) del norvegese Joachim Trier. Ma circolano tanti pareri positivi anche per la Nouvelle vague di Richard Linklater e per il dramma tedesco in costume dal titolo Sound of Falling. Senza dimenticare il nostrano Mario Martone che pare aver fatto centro con il ritratto tutto al femminile di Fuori e il sempre apprezzato regista iraniano Jafar Panahi con il suo It was just an accident.

Il tempo scorre, ma i film sono tanti (ventidue, per la precisione), e a decretare il verdetto finale saranno poi i pareri della giuria presieduta da Juliette Binoche (è il secondo anno di donne come presidenti di giuria) e composta da Halle Berry, Payal Kapadia, Alba Rohrwacher, Leïla Slimani, Dieudo Hamadi, Hong Sangsoo, Carlos Reygadas e Jeremy Strong. Non resta che attendere il sipario sulla kermesse per tirare le relative somme.

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Scritto da
Elena Pedoto

Da avida lettrice ad accanita consumatrice di cinema d’autore il passo è stato breve. Ha trascorso gli ultimi quindici anni a rincorrere a perdifiato film, autori e festival di cinema internazionale, e ha trovato il suo habitat ideale in quel della costa azzurra, nei meandri del Festival di Cannes. Attualmente si divide tra il lavoro di mamma e quello di freelance, cercando ostinatamente di non perdere di vista nessuna delle due “mission”.

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