Uno dei misteri più profondi e persistenti dello sport: l’amore. Un mistero che trascende la semplice competizione per diventare narrazione collettiva, mito vivente che risiede nella sistematica invisibilità della donna. Non si parla della figura idealizzata, della reginetta da copertina o della velina sul podio, ma della donna reale. Quella che esiste, che vive e respira accanto al campione, che ne assorbe le gioie e le fatiche, che cucina, consola o semplicemente osserva in silenzio le ginocchia sbucciate dopo una caduta.
La donna che ama, in una dimensione di quotidianità che stride con l’eccezionalità del successo. Il problema non è il morboso interesse del gossip, ma piuttosto il modo in cui queste donne – e a volte anche gli uomini – vengono poste fuori fuoco, volutamente marginalizzate. Sembrano sempre un po’ decentrate, quasi che l’amore fosse un’appendice trascurabile, una mera comparsa nello spettacolo della gloria sportiva.

Le Dame Bianche della storia sportiva
Tutti ricordano l’iconica foto di Fausto Coppi e Giulia Occhini. Lui, con il fisico asciutto di un atleta, lei in un vestito bianco candido, seduti su un divano, entrambi con lo sguardo assente, perso nel vuoto, o forse intento a fissare il fotografo, ma mai la macchina fotografica. Sembrano quasi estranei a sé stessi, presenze eteree in un’istantanea che ha fatto epoca.
Lei era “l’altra”, la donna che scardinava le convenzioni, ma in quella foto la sua presenza è più palpabile, più intensa di quella di Coppi. Ed è qui che inizia il paradosso, amaro e crudele: la donna che ama un uomo celebre, un amore vero e profondo, scompare. O, più spesso, viene fatta scomparire. Occhini, lungi dal nascondersi, divenne l’oggetto di una rimozione collettiva impietosa: scomuniche ecclesiastiche, processi in tribunale, il disonore pubblico. Non fu condannata per un crimine, ma per la sua visibilità, per aver osato esistere e amare alla luce del sole.
Andreina Baggio e Laila Abdesselam
Esistono, però, donne che scelgono una diversa forma di sparizione, scomparendo da sé, o meglio, ritirandosi volontariamente dalle scene. Andreina Baggio, moglie di Roberto, è un esempio emblematico. La sua presenza in pubblico è stata più rara di un’eclissi totale di sole. Non ha mai concesso interviste, non ha mai neanche finto di esserci, pur essendoci sempre, costantemente, accanto al marito. La loro è una famiglia unita da oltre quarant’anni, un esempio di solidità e discrezione.
In questa scelta di Andreina si cela qualcosa di profondamente religioso, non in senso passivo o servile, ma devoto, nel senso più nobile e al contempo più ambiguo del termine. Andreina ha incarnato la presenza perfetta: quella che si sacrifica sull’altare della narrazione sportiva, rimanendo un passo avanti, mai uno indietro. Solo di lato, in una posizione di supporto incondizionato e silenzioso.

La riservatezza della Gen Z dello sport
La stessa dinamica sembra ripetersi, con sfumature contemporanee, con Laila Hasanovic, modella e influencer, compagna – forse ex, forse ancora, il confine è labile – di Jannik Sinner, il “monaco rosso” del tennis mondiale. Di lei si sa il giusto per intuire una presenza discreta: c’è, ma non deve disturbare l’immagine patinata dell’atleta. Il suo volto appare e scompare come una dissolvenza controllata, calibrata al millimetro. Sinner ha imparato rapidamente la lezione dell’inquadratura perfetta: l’atleta deve apparire puro, incontaminato.
L’amore, se esiste, deve restare fuori dallo storyboard, non perché proibito, ma perché potenzialmente interferente con la narrazione del campione dedito unicamente alla sua disciplina. E Laila, giovane, bella, reale, ha scelto – o le è stato chiesto? – di abitare quella zona grigia in cui si può intuire ma non affermare, dove la percezione supera la certezza. È la nuova dama bianca, non per il suo essere scandalosa, ma per la sua natura evanescente, quasi un algoritmo sentimentale che si adatta alle esigenze mediatiche.
La regina visibile: Federica Pellegrini
Ma cosa accade se la donna si mostra? Se parla, se cambia, se ama e lascia e si rifà una vita, rivendicando la propria autonomia? Allora tutto si complica inesorabilmente. Federica Pellegrini rappresenta il controcanto perfetto a queste dinamiche. Campionessa totale, ha sempre vissuto le sue relazioni in pubblico, senza pudori, ma anche senza esibizionismo. Ha amato come nuotava: a bracciate larghe, senza guardarsi troppo intorno, con una forza e una determinazione che non ammettono mezze misure. E per questo le è stato presentato un conto salato.
È stata etichettata come “capricciosa”, “instabile”, “difficile”. Se avesse taciuto, se si fosse ritirata nel silenzio, sarebbe stata venerata, assurgendo a icona intoccabile. Ma ha parlato. Ha scelto. È stata protagonista della propria vita sentimentale, e per questo è stata, agli occhi di molti, colpevole. Federica non è una dama bianca. È una regina visibile, e come tutte le regine che non si nascondono, è stata odiata anche da chi, in fondo, l’applaudiva per le sue vittorie.

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L’amore omosessuale nello sport
E poi ci sono coloro che non possono permettersi nemmeno una dama, bianca o invisibile che sia. Coloro che amano uomini. Che non possono dirlo, o perché nessuno vuole saperlo, preferendo ignorare la realtà. Nello sport italiano, è un dato sconcertante che non esistano atleti gay dichiarati mentre sono in piena attività. È una statistica ridicola, che rasenta il grottesco, e culturalmente tragica, indice di una profonda ipocrisia. E così accade che alcuni uomini vivano con altri uomini, ma nel silenzio, celati nelle stanze chiuse, nei fine settimana senza post sui social, in una dimensione di clandestinità.
I loro compagni diventano dame nere: invisibili, inconfessabili, a volte persino negati, cancellati dall’esistenza. Alex Di Giorgio, nuotatore, è uno dei rari esempi di chi ha osato parlare, ma solo perché trascinato in una vicenda giudiziaria assurda, che lo ha costretto a uscire allo scoperto. Gli altri tacciono, o, più precisamente, vengono zittiti. Perché il corpo virile dello sport deve rimanere neutro, possibilmente casto, e se ama, deve farlo fuori scena, lontano dagli occhi del pubblico.
Il valore nascosto dell’amore nello sport
Non si tratta di mero moralismo, né di semplice pettegolezzo. Il punto centrale non è chi ama chi, ma dove viene messo chi ama. Sempre un po’ più in là, dietro la tenda, in fondo alla tribuna, appena fuori dall’inquadratura perfetta. La gloria sportiva è un monologo, una narrazione unidirezionale che non ammette interruzioni. L’amore, al contrario, è un dialogo, uno scambio continuo. Ma il dialogo fa rumore, genera complessità, e allora lo si riduce a un’eco lontana, a una cornice marginale, a una dama, a una figura ancillare.
Eppure, esiste una verità più dolce e insieme più cruda, più autentica: senza quelle presenze silenziose, quei sorrisi trattenuti, quegli sguardi che restano incisi nell’anima mentre tutti vanno via, senza tutto questo, l’atleta sarebbe davvero solo. E nessuna vittoria, per quanto grande, sarebbe mai abbastanza. È in queste figure invisibili, in queste “dame” che abitano ai margini del racconto sportivo, che risiede la vera forza, il vero sostegno, la radice profonda di ogni successo e di ogni resilienza.
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