Da oggi nelle sale italiane, il nuovo film di Luca Guadagnino, con Julia Roberts e Ayo Edibiri, esplora le dinamiche perverse di una società in disarmo etico, tra Me Too, cultura woke e il potere corrosivo del sospetto.
Il ticchettio inquietante del metronomo apre il sipario su quella che sarà la componente fortemente ansiogena di After the Hunt, ultima fatica a firma del regista visionario Luca Guadagnino, e costruito sulla fine sceneggiatura della giovane autrice Nora Garrett.
Un intreccio di segreti e privilegi a Yale
Alma Olsson – Julia Roberts -, sposata con l’eccentrico e intuitivo psichiatra Frederik – interpretato dall’ottimo Michael Stuhlbarg -, è un’appassionata professoressa di filosofia a Yale, in fervente attesa di assegnazione di cattedra. Suo amico e confidente è il giovane Hank – un istrionico Andrew Garfield -, anche lui in attesa di coronare il sogno del “posto fisso” nel prestigioso ateneo. E all’interno di un legame sodale che cela però anche il fardello di una competizione serrata, s’inserisce l’enigmatica figura di Maggie Price – una sorprendente Ayo Edibiri -, studentessa afroamericana formalmente brillante che dietro le solide apparenze nasconde invero molte fragilità, il potere persuasivo di una famiglia assai influente, e la tendenza a brandire il proprio privilegio come arma d’ascesa personale.
E quando la ragazza rivelerà una presunta molestia sessuale del professor Hank ai suoi danni, partirà la caccia a una giustizia cangiante e multiforme che attraverserà corridoi e cortili dell’università facendo emergere una quantità inattesa di cocenti segreti e oscure memorie. Nello stallo confusionario e nell’alternanza sistemica del punto di vista tra vittima e carnefice, ruotati attorno alla figura di Alma – nome omen – benevola e accudente, si andranno infatti a inserire preconcetti e privilegi, etiche opinabili e verità controverse. In un gioco delle parti destinato a far cadere molte maschere, ma che lascerà comunque sospeso ben oltre la fine il cuore della verità.

Luca Guadagnino e le nuove sfide filosofiche
Dopo Challengers e Queer, rispettivamente viaggi di ritmo e ipnosi all’interno del variegato e complesso mondo delle relazioni umane, il prolifico Luca Guadagnino torna al cinema con il suo decimo lungometraggio dal titolo After the Hunt – letteralmente, dopo la caccia -, già transitato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia e in uscita nelle sale con Eagle Pictures il 16 ottobre.
Con un cast di star, in cui spiccano le due protagoniste femminili interpretate da una ritrovata Julia Roberts e da Ayo Edibiri – musa di The Bear che qui si riconferma attrice di talento -, Guadagnino attraversa l’universo bollente di Me too, cultura woke, cancel culture, cercando di costruire su un film filosofico e finemente concettuale le dinamiche perverse di un sospetto che diventa fondato solo grazie al potere di chi lo esercita.
Un dialogo con Woody Allen e la dialettica del potere
E nel rimando dei titoli di testa a Woody Allen, il regista di Call me by your name segue il filo dissacrante di una parola che diventa arma, di un testa-a-testa dialettico che si manifesta come verità del più forte, e si anima nel ragionamento cervellotico dei salotti più che bene dell’alta borghesia americana. Con un twist narrativo destinato a mettere sotta accusa gli esponenti più benestanti di quel sistema patinato a stelle e strisce.
Il mondo dei bianchi ricchi privilegiati mandato in scacco da una giovane ragazza di colore ancor più privilegiata diventa così l’escamotage per una riflessione centrata, anche se irrisolta, su quanto la labilità dei rapporti e la loro promiscuità allo scandalo, possa finire per condizionare intere esistenze e dottrine di pensiero. Specie in un mondo ciecamente devoto al politicamente corretto.

After the Hunt, guerra psicologica e attrazione
E come accadeva nella declinazione sportiva di Challengers, anche After The Hunt si costruisce subdolo nei sentieri di una guerra psicologica esercitata attraverso attrazione fisica, sessualità, e sfida sul terreno di gioco, che in questo caso non è più un campo da tennis ma l’arena fatta di soldi e potere di una prestigiosissima università americana. Nell’arco delle oltre due ore di film, l’occhio dello spettatore è indotto ad abbracciare a singhiozzo una verità e poi l’altra, e a credere che la versione più accreditata non sia sempre quella più plausibile.
Concettualmente, il film prende le mosse – e il titolo – da un aforisma del celebre politico prussiano Otto Von Bismark, che afferma: “Non si mente mai così tanto come prima delle elezioni, durante la guerra e dopo la caccia”. E nella formulazione allegorica secondo cui l’evento catartico della presunta aggressione del film coincide con uno dei momenti nevralgici sopra citati, After The Hunt si concentra a inquadrare ogni personaggio della storia alla luce delle sue potenziali verità, e soprattutto menzogne.

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Filosofi e società, After the Hunt un vaso di pandora
C’è chi finge in amore, o in amicizia, chi plagia, chi sottrae ricettari medici, e chi inventa storie per puro narcisistico ego riferimento. C’è chi mente per necessità e chi lo fa per puro svago. Chiamando in causa una pletora di filosofie e filosofi, scomodando fieramente Locke, Schopenhauer, Nietzsche, e naturalmente anche Kierkegaard, Guadagnino disvela così il vaso di pandora di una società bene fondamentalmente e profondamente controversa, aggrappata con le unghie e con i denti al proprio insano privilegio. Quella stessa immunità che poi, infine, promette anche di fronte all’esercizio di azioni immorali, di cadere sempre e comunque in piedi.
Un affresco kafkiano e la disfatta etica
Politicamente scorretto e dai risvolti della medaglia quasi kafkiani, il regista palermitano qui punta il dito contro tutto e tutti, salvando – forse – solo chi non rinnega sé stesso pur di mostrarsi nella propria eccentrica follia – Frederik -, e nel suo cangiante affresco finemente dialettico in stile Carnage – o carneficina – umana, After The Hunt si scompone e ricompone lungo un circolo vizioso di alleniani crimini e misfatti reiterati.
Un film che non manca di lungaggini – specie nel doppio finale – e qualche digressione dialettica di troppo, ma che mette in luce la disfatta etica di un mondo apparentemente immacolato fatto di acuti studiosi che, in dolente paradosso, incarnano al meglio una civiltà in disarmo cognitivo e una sorta di deleteria ipnosi collettiva sempre al servizio del Dio privilegio.
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